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Iraq e situazione internazionale

Ultimo Aggiornamento: 26/10/2005 17:27
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Due articoli dal Corriere della Sera di oggi

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«Dobbiamo ancora abituarci a questo miracolo della libertà»

«Tre anni fa non potevamo aprire bocca, oggi scegliamo il nostro leader. Ci stiamo aprendo al mondo»


DA UNO DEI NOSTRI INVIATI
KABUL - «Le elezioni? Sono un miracolo, un vero miracolo. E chi non lo comprende non ha capito nulla dell'Afghanistan». Non si lascia intimorire Hassan Gran. Non lo impressionano più di tanto gli allarmi bomba, nè la minaccia degli attentati o del terrorismo. «Alla violenza ci siamo abituati. Così come all'intolleranza religiosa dei talebani, o al fanatismo suicida di Al Qaeda. Dobbiamo invece ancora abituarci alla libertà, alla pace e alla democrazia. E molti di noi devono ancora capire che proprio queste elezioni presidenziali sono un passo concretissimo in quella direzione», esclama questo tipico esponente dei nuovi intellettuali afghani. Laureato in scienze politiche all'università della capitale, 47 anni, autore di diversi saggi sulla storia politica del suo Paese pubblicati anche in Pakistan, Gran ha lavorato sino a un anno fa per la Croce Rossa internazionale. Da allora è presidente della commissione incaricata di coordinare gli affari parlamentari nel governo Karzai.
Perché un miracolo?
«Sino a tre anni fa noi uomini eravamo costretti a farci crescere la barba. Chi l'aveva troppo corta poteva venire arrestato dalle cosiddette pattuglie della moralità. I talebani bruciavano pubblicamente le cassette di musica con voci femminili. Le scuole erano solo per bambini maschi. Le ragazzine già giovanissime erano costrette a indossare il burqa. Parlare di politica o esprimere idee diverse da quelle della dittatura era semplicemente tabù. Ora siamo liberi di scegliere il nostro presidente. Primo passo verso le elezioni politiche di aprile. Chiunque può candidarsi. Inoltre ci stiamo riaprendo al mondo, possiamo viaggiare, parlare con l'estero. Nel 2000 c'erano tre quotidiani in tutto l'Afghanistan, oggi le pubblicazioni sono oltre 200. E' il miracolo della libertà. Devo ammettere che nel gennaio 2002 non avrei mai pensato potesse arrivate tanto rapidamente».
Il pubblico è pronto alla libertà?
«Si dimentica che l'Afghanistan ha una tradizione laica. I 5 anni dei talebani sono stati una parantesi. Già nel 1905 e nel 1917 ci furono seri tentativi di imporre una monarchia costituzionale. Kabul nei primi anni ’70 era molto simile a Beirut per cultura, modi di vivere e valori».
I pericoli maggiori?
«I cosiddetti signori della guerra, gente che non esita a sfruttare le antiche divisioni tribali per rilanciare il proprio potere personale. E i fanatici militanti di Al Qaeda ancora nascosti nelle zone al confine con il Pakistan. Infine temo l'ignoranza: oltre l'80% della nostra popolazione è analfabeta».
In Iraq sta crescendo l'ostilità nei confronti delle truppe Usa e i loro alleati. Lo stesso avviene in Afghanistan? «Assolutamente no. La stragrande maggioranza della popolazione desidera che le truppe della coalizione guidata dagli americani restino. Se dovessero partire tornerebbe il pericolo delle guerre fratricide come nei primi anni ’90 dopo il ritiro delle truppe sovietiche».
Le attuali elezioni in Afghanistan potrebbero rappresentare un modello per quelle irachene previste entro gennaio?
«Direi di no. Le due situazioni sono drasticamente diverse. In Afghanistan gli americani sono intervenuti con il sostegno della comunità internazionale e avendo pianificato con attenzione un programma per il dopoguerra. Condizione che non c'è stata in Iraq. Inoltre noi afghani odiavamo la teocrazia talebana molto più di quanto gli iracheni odiassero Saddam Hussein. E, pur tra grandi difficoltà, il nostro Paese è più omogeneo. Da noi non esistono tensioni simili a quelle tra sciiti e sunniti, o la possibilità costituita dalla nascita di uno Stato indipendente curdo».

Lorenzo Cremonesi



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Oggi oltre dieci milioni di elettori chiamati a scegliere il presidente nell’ex Paese dei talebani. Sedici i candidati. Paura per il rischio di attentati


«Noi donne al voto, il giorno più felice»

L’entusiasmo delle afghane. E le minorenni in burqa barano sull’età per partecipare


DA UNO DEI NOSTRI INVIATI
KABUL - Il popolo afghano alle urne per la prima volta nella sua storia: da questa mattina alle 7 (le 4.30 in Italia) e fino alle 16, usa le mani per votare e non per sparare. Dopo 23 anni consecutivi di guerre, dopo secoli di sottomissione a leader imposti con la forza o dal diritto ereditario, 10 milioni e 567 mila afghani in patria, 740 mila in Pakistan e circa mezzo milione in Iran, entrano nelle 21.521 cabine rigorosamente separate: 12.354 per gli uomini, 9.187 per le donne, allestite nei 4.807 centri elettorali. Nelle 63 mila urne vi depongono due schede. Scelgono il presidente della Repubblica tra 15 candidati (due si sono ritirati a favore del superfavorito Hamid Karzai) e i membri dei 34 consigli provinciali. Vanno al voto tra paura e speranza. Paura di attentati: nelle ultime ore sulla capitale sono piovuti quattro razzi, a Kandahar è stato bloccato un camion pieno di esplosivo, da un'altra parte sono state sequestrate 43 mine antiuomo e 3 cinture per aspiranti suicidi. Il traffico, almeno a Kabul, è miracolosamente quasi accettabile, la gente sta in casa, le scuole sono chiuse da mercoledì fino a domani. Ma il sentimento predominante è quello della speranza. Soprattutto da parte della donne, la parte più debole, vessata, minacciata anche nel suo diritto di voto - secondo la denuncia fatta l'altro giorno dall'americana Human Rights Watch.
«Per noi è il giorno della felicità, della realizzazione di un sogno fino a due anni fa impossibile. Respiro libertà, un profumo che mi inebria, mi sento librare nell'aria come un aquilone. Un giorno che segnerà la mia vita per sempre, posso cominciare a scegliere il mio destino», dice Shabnam, il cui nome significa «gocce di rugiada». Shabnam ha 15 anni, è bella e fresca come il suo nome, parla un inglese perfetto, è riuscita a farsi registrare come diciottenne. E quindi ad andare a votare. «L'interesse per il voto presso le donne è stato talmente alto - commenta Waida, professoressa di una scuola femminile - che tante mie alunne hanno falsificato la loro età pur di presentarsi alle urne».
«La legge elettorale ha consentito alle donne di registrarsi anche col burqa e senza foto - spiega Jamila Omar, giornalista e scrittrice - Ed è per questo che a Jalalabad una signora ha avuto 40 schede! Ed è per questo che secondo me il numero delle donne effettivamente registrato è inferiore al 41,2% degli elettori ufficialmente annunciato». C'è anche una candidata donna, Massuda Jalal, 41 anni, medico, ma - dice Jamila Mujahid, direttrice della seguitissima radio «La voce delle donne afghane» - non riscuoterà grande successo fra le donne: è troppo succube del marito. Quello che conta non è una donna candidata, ma una figura che difenda i nostri diritti, che oltretutto sono già previsti dalla nuova Costituzione».
«Io temo una forte astensione femminile nelle città per timore di attentati e mi dispiacerebbe se ciò avvenisse», commenta Rezala Ashraf, responsabile di un'associazione (Hawca) che assiste centinaia di bambini e 2.500 donne e che in questo compito collabora con la Pangea milanese (lei stessa è stata molte volte in Italia). «Sappiamo che queste elezioni non sono state una scelta solo nostra - continua Rezala -. Per noi il processo elettorale è stato troppo veloce. Però la tentazione di andare al voto è troppo forte, specialmente per noi donne. Nonostante la paura e le elezioni zoppe». Rincara il pessimismo Farkhunda Ateel, 30 anno di Medicina: «Io non vado a votare perché il futuro presidente è stato già scelto. Capisco poco di politica, ma è chiaro che gli americani e il nostro governo non possano rischiare che il popolo scelga il proprio leader. E poi come fa una donna dei villaggi che è sempre vissuta nell'angolo della sua casa a scegliere coscientemente un presidente? C'è ancora troppa ignoranza». Questo effettivamente è vero: il 70% è analfabeta, solo il 17% della popolazione ha accesso alla tv, il 72 alla radio e il 17 ai giornali. Commenta da Roma la principessa India di Afghanistan, 75 anni, figlia del re Amir Amanullah, il monarca che qui regnò dal 1923 al 1929, quando, a causa del suo modernismo, fu costretto ad andarsene in esilio nella nostra capitale (dove è morto nel 1961): «Voteranno liberamente le professioniste e la media borghesia, le povere donne saranno come le massaie italiane nel dopoguerra quando il parroco diceva che cosa scrivere sulla scheda. Il voto, che serva agli Usa, non fa parte della cultura del mio Paese, ma comunque occorre fare dei passi avanti».
L'entusiasmo in effetti predomina. Dice Zohra Molvi Zadh, 25 anni: «Quando ho ritirato la scheda mi sono sentita felice e orgogliosa dopo decenni in cui siamo state private di tutte. Voterò, ma non chi ha le mani macchiate di sangue». Su questo punto, l'attivista per i diritti umani, Horia Mosadiq, sul periodico femminile Via nuova è stata esplicita: «Ti darò il mio voto, mister Karzai. Ma a condizione che, quando attraversi i cimiteri pensi alle sofferenze del popolo, ascolterai i fantasmi delle migliaia di morti che invocano giustizia».
«Si va a votare, nessun dubbio su questo - esclama Nasima («Alba chiara») Noora Omarakhan, 28 anni, combattiva tagika che vota per Karzai, ginecologa al Malali Maternity Hospital - Tutta la mia famiglia va al voto. Io, mia sorella Shiva, mio fratello e mio padre che accompagnerò perché anziano. Comunque vada da questa sera saremo tutte più libere».
Ha scritto il grande poeta e filosofo islamico Allam Iqbal: «L'Asia è come un corpo. Il cuore è l'Afghanistan. La distruzione degli afghani sarebbe la morte dell'Asia. E il loro progresso e prosperità è il benessere dell'Asia intera». La forza di quel cuore sono le donne, le uniche a non avere le mani insanguinate. E il loro risveglio sarà amaro per gli uomini di queste parti.

Costantino Muscau




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da internazionale con furore copy&paste
Noam Chomsky

Terrorismi

L'indignazione per chi osa sfidare gli Stati Uniti è radicata nella loro storia, fin dai tempi di Jefferson

Internazionale 549, 22 luglio 2004

Ogni presidente americano che si rispetti ha dato il nome a una dottrina di politica estera. Il principio al cuore della dottrina Bush II è che gli Stati Uniti devono "liberare il mondo dal male", come ha dichiarato il presidente dopo l'11 settembre. Compito speciale del paese è fare la guerra al terrorismo.

Il corollario è che qualsiasi stato ospiti dei terroristi è uno stato terrorista e va trattato di conseguenza. Ecco allora una domanda semplice e imparziale: se dovessimo prendere sul serio questa dottrina, quali sarebbero le conseguenze?

Da molto tempo gli Stati Uniti offrono un rifugio a una serie di canaglie le cui azioni ne fanno dei terroristi e la cui presenza rende difficilmente sostenibili i principi sbandierati da Washington. Pensiamo al caso dei "cinque di Cuba", cioè quel gruppo di cittadini cubani che a Miami, nel 2001, sono stati condannati per aver fatto parte di una rete di spionaggio, e il cui processo d'appello è in corso. Per capire questo caso, che ha suscitato proteste internazionali, dobbiamo ripercorrere la storia dei rapporti tra Stati Uniti e Cuba (lasciando da parte la questione dell'embargo americano, che soffoca l'isola da decenni).

Fin dal 1959 gli Stati Uniti hanno intrapreso attacchi terroristici contro Cuba, tra cui l'invasione della Baia dei Porci e i fantasiosi complotti per uccidere Fidel Castro. La partecipazione diretta del governo statunitense a questi attacchi ha avuto termine – almeno ufficialmente – verso la fine degli anni settanta. Nel 1989 il presidente Bush ha concesso la grazia a Orlando Bosch, uno dei più famigerati terroristi anticastristi, accusato di essere il cervello dell'attentato del 1976 contro un aereo di linea cubano.

Così facendo, Bush padre ha scavalcato il dipartimento della giustizia, che aveva respinto la domanda di asilo presentata da Bosch motivando così la sua decisione: "La sicurezza del nostro paese dipende anche dalla capacità di incoraggiare altri paesi a rifiutare ogni aiuto e rifugio ai terroristi di cui troppo spesso siamo il bersaglio".

Preso atto che gli Stati Uniti davano ospitalità a terroristi anticastristi, Cuba ha infiltrato alcuni agenti in quelle reti. Nel 1998 un gruppo di funzionari di alto grado dell'Fbi è stato inviato all'Avana. Qui ha ricevuto una documentazione di migliaia di pagine scritte e centinaia di ore di video sulle azioni terroristiche organizzate dalle cellule attive in Florida. Per tutta risposta, l'Fbi ha arrestato chi aveva raccolto quelle informazioni – compresi "i cinque di Cuba". Agli arresti è seguito un processo di facciata che si è svolto a Miami e in cui i cinque sono stati condannati a pene pesanti.

Intanto, però, alcune persone che l'Fbi e il dipartimento della giustizia considerano pericolosi terroristi vivono tranquille negli Stati Uniti e continuano a organizzare crimini. L'elenco dei terroristi residenti negli Stati Uniti comprende tra gli altri l'haitiano Emmanuel Constant, detto Toto. All'epoca di Duvalier, Constant ha capeggiato una milizia paramilitare. Ha poi fondato il cosiddetto Fraph (Fronte per l'avanzamento del progresso a Haiti), il gruppo paramilitare che è stato l'esecutore di gran parte degli atti di terrorismo di stato compiuti nei primi anni novanta sotto la giunta militare che ha rovesciato il presidente Aristide.

Secondo le ultime notizie disponibili, Constant abita nello stato di New York. Gli Stati Uniti hanno respinto la richiesta di estradizione presentata da Haiti perché, si pensa, Constant potrebbe fare rivelazioni sui rapporti tra Washington e la giunta militare (sotto la quale le forze paramilitari di Constant hanno avuto un ruolo decisivo nell'uccisione di quattro-cinquemila haitiani).

L'ossessione di Cuba
Per gli Stati Uniti, Cuba rappresenta da molto tempo la prima preoccupazione dell'area. In un documento del dipartimento di stato del 1964 si legge che Fidel Castro è una minaccia intollerabile perché "incarna una sfida riuscita agli Stati Uniti, la negazione radicale di tutta la politica che conduciamo nell'emisfero da quasi un secolo e mezzo": dal tempo, cioè, della dottrina Monroe, secondo cui gli Usa non avrebbero tollerato alcuna minaccia rivolta al loro dominio nella zona.

L'indignazione per chi osa sfidare gli Stati Uniti è radicata nella loro storia. Thomas Jefferson condannò aspramente la Francia per il suo "atteggiamento di sfida", per non essersi lasciata strappare la città di New Orleans. Secondo lo stesso Jefferson "il carattere nazionale della Francia si trova in una posizione di perpetuo attrito con il nostro che, pur essendo amante della pace e dedito a perseguire la ricchezza, ha ambizioni elevate".

La sfida della Francia, concludeva Jefferson, "ci impone di sposare la nazione britannica e la sua flotta": un'evidente marcia indietro rispetto al precedente riconoscimento del contributo decisivo dato dalla Francia alla liberazione delle colonie dalla dominazione britannica. Da allora i princìpi fondamentali in base a cui gli Stati Uniti distinguono amici e nemici sono rimasti invariati.

[Modificato da eyebright 09/10/2004 12.06]

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e per concludere la questione Arabia Saudita sì, Arabia Saudita no ...
Robert Fisk

Bombe in casa saudita

Riyadh è al cuore delle trame di al Qaeda. Ma è anche il grande alleato degli Usa

Internazionale 488, 15 maggio 2003

Poveri sauditi. Ci vuole coraggio a nutrire simpatia per i decapitatori di teste, i mozzatori di mani, gli antifemministi, i misogini, i feudali, gli antidemocratici sauditi. Dopotutto questa è la gente che finanziò la resistenza islamica all’esercito sovietico in Afghanistan. È la nazione il cui ministro dell’interno aveva colloqui confidenziali con Osama bin Laden nell’ambasciata saudita di Islamabad.

Questo è il paese che volle che Osama fosse il suo “principe” nella campagna contro l’ateismo sovietico. E da qui sono venuti 15 dei 19 attentatori suicidi dell’11 settembre 2001, nonché i kamikaze che il 12 maggio hanno massacrato a Riyadh altri occidentali.
Ma dopo l’invasione illegale (per il diritto internazionale) dell’Iraq e dopo gli ingenui, pericolosi proclami dei nuovi padroni coloniali americani non si può fare a meno di provare un po’ di simpatia per i sauditi. Dopotutto sono stati creati, come Saddam Hussein, dall’occidente, durante le sue imprese coloniali.

Medioevo e petrolio
La famiglia reale saudita è un vero rompicapo. Le sue migliaia di principi – libertini della peggior specie medievale – sono indegni di governare. Possiedono un terzo del 60 per cento del petrolio di tutto il mondo – condividono questo tesoro globale con altre quattro famiglie – e hanno prodotto gli sceicchi più avidi, le baraccopoli più povere del Golfo e anche l’apparato più ferocemente wahhabita, feudale e antioccidentale che sia mai esistito dai tempi dell’assedio di Vienna. I soldi del petrolio hanno corrotto la famiglia reale. I suoi imam e i suoi “sapienti” religiosi sono da tempo giunti alla conclusione che i sauditi sono burattini degli occidentali, inclini alla prostituzione, alla corruzione e alle tangenti americane.

Ma tra i neoconservatori che adesso dirigono l’amministrazione Bush – i Perle, i Wolfowitz e i Cohen – l’Arabia Saudita è da tempo il rovescio finanziario della medaglia di Saddam. Dopotutto, chi finanziò l’ascesa al potere di Saddam? Chi fornì i soldi per gli otto anni della folle guerra contro l’Iran, corredata delle armi chimiche di cui adesso abbiamo tanta paura? Chi mandò i giovani musulmani a combattere l’esercito sovietico in Afghanistan? I sauditi. Dimentichiamo – come vorrebbero gli egregi signori Perle, Wolfowitz e Cohen – che lo fecero con la nostra benedizione e il nostro appoggio.

E dall’11 settembre 2001 i neoconservatori dell’amministrazione Usa ci ricordano il male intrinseco del regime saudita. Dopotutto è stato Perle a riferire a un “comitato consultivo” del Pentagono (sa il cielo su che cosa fornisca “consigli”) che “i sauditi sono attivi a ogni livello della catena del terrore, dalla pianificazione al finanziamento, dalla leadership alla manovalanza, dall’ideologia al sostegno”. L’Arabia Saudita era “il nucleo del male”.

Da allora c’è una campagna per denigrare la Casa di Saud. L’esempio più recente è un articolo dell’ex “ufficiale superiore” della Cia per il Medio Oriente, Robert Baer, che sull’Atlantic Monthly ha scritto una lunga e dettagliata analisi sull’imminente crollo della Casa di Saud. Con sconcertante accuratezza ha descritto l’ictus quasi fatale che colpì re Fahd nel 1995, episodio che ha fatto sì che l’attempato principe ereditario Abdullah governasse al posto dell’ancor vivo Fahd.

“Da tutta Riyadh giungeva il rumore sordo degli elicotteri”, man mano che i principi convergevano al letto d’ospedale reale, scrive Baer. Lo stesso accadde l’anno scorso, in Svizzera, quando Fadh sembrò sul punto di morire. In quell’occasione ero in Svizzera anch’io: fui svegliato dallo stesso “rumore sordo” e dallo stridio dei jet che portavano i principi venuti a chiedere una fetta della torta reale. In realtà oggi ci sono troppi pretendenti: 26.500 euro al mese non sono sufficienti per uno stile di vita principesco, e il numero dei principi – intorno ai 15mila – sta diventando troppo grande da gestire. Presto, con la nuova generazione, saranno 30-60mila.

Da Osama alla Carlyle
Non è di questo che Osama bin Laden ha sempre parlato? Curioso che l’odio di Osama e il cinismo di Baer convergano sulla famiglia reale saudita. A Osama piacerebbe trasformare l’Arabia Saudita in una vera nazione islamica, e alcune delle sue descrizioni della corruzione saudita somigliano in modo straordinario alle tirate rabbiose di Perle e Baer. Il simbolo più rivoltante della corruzione fornito da Baer è l’immagine di re Fahd che si riprende dall’intervento al cuore e defeca nella piscina reale davanti all’intera famiglia.

Ma non abbiate paura. Perché, come Baer evidenzia con malizia, il mondo degli affari americano ha stretti contatti con la famiglia reale saudita. Il gruppo Carlyle è uno dei maggiori beneficiari della munificenza saudita. Frank Carlucci (consigliere alla sicurezza nazionale e segretario alla difesa sotto Reagan) ne è stato presidente. James Baker (segretario di stato di Bush padre) ne è un alto consigliere, e Arthur Levitt (capo della commissione di controllo delle borse sotto Clinton) è anche lui un consulente. Quanto all’attuale presidente della Carlyle, è l’ex premier britannico John Major.

La società Halliburton – guidata da Dick Cheney prima di diventare vicepresidente – beneficia adesso della “ricostruzione” dell’Iraq, ma fa affari anche con l’Arabia Saudita: nel 2001 ha strappato un contratto da 140 milioni di dollari per lo sviluppo di un giacimento petrolifero.

La Chevron Texaco è alleata della Saudi Aramco in nuove iniziative petrolifere (nel suo consiglio d’amministrazione sedeva in precedenza Condoleezza Rice, il consigliere alla sicurezza nazionale più amato d’America). L’elenco potrebbe continuare. E se non ci credete, controllate il ruolo di Carla Hills (rappresentante del commercio sotto Bush padre) e Nicholas Brady (il suo segretario del tesoro) nel consiglio di amministrazione di una società che, insieme ai sauditi, sfrutta la ricchezza petrolifera dell’Azerbaigian.

Ecco allora un’ipotesi. Indipendentemente da quel che succederà in Arabia Saudita, gli Stati Uniti continueranno ad appoggiare la Casa di Saud. A meno che non crolli. In questo caso Washington può impadronirsi dei giacimenti petroliferi sauditi dalle sue vicine basi in Iraq. Se prima ci volevano dodici minuti di aereo dal territorio saudita per arrivare alle riserve petrolifere dell’Iraq, ora vale lo stesso se si parte da Bassora per “mettere al sicuro” i pozzi petroliferi dell’Arabia Saudita.

Si può dunque vedere in che direzione soffia il vento. Abbiamo l’Iraq. Dimentichiamoci dell’Arabia Saudita. Fino a quando non ci renderemo conto che Osama bin Laden si è insediato alla Mecca, a Medina e a Riyadh. E allora diremo: “Ma come, non l’avevamo sconfitto in Afghanistan?”. Comunque sia, ci terremo il petrolio, indipendentemente da quante vittime Osama possa mietere strada facendo.

Traduzione di Nazzareno Mataldi

[Modificato da eyebright 09/10/2004 12.18]

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Ma Tex Willer non era il buono ????
Robert Fisk


Dubbia moralità

Nella guerra al terrorismo si usano due pesi e due misure. E metodi inquietanti

Internazionale 471, 16 gennaio 2003

Ho capito come stanno le cose, credo. la corea del Nord vìola tutti i suoi accordi con gli Stati Uniti sugli armamenti nucleari, mette alla porta gli ispettori delle Nazioni Unite, si prepara a produrre un ordigno all’anno, e il presidente George W. Bush dice che si tratta di “una questione diplomatica”. L’Iraq consegna un rapporto di dodicimila pagine sulla sua produzione di armamenti e permette agli ispettori dell’Onu di andarsene in giro per tutto il paese. Gli ispettori riferiscono che nelle loro 230 ispezioni non hanno trovato sostanze chimiche pericolose – neanche quanto basta per riempire un vasetto di marmellata – e il presidente Bush annuncia che l’Iraq è una minaccia per l’America, è ancora armato e forse bisognerà invaderlo. Così stanno le cose.

Ma come fa Bush a farla franca, mi scrivono i lettori? E Tony Blair come fa? Non molto tempo addietro, alla camera dei Comuni, il nostro caro primo ministro ha annunciato con il consueto tono da maestro di scuola – quello che si usa con gli alunni più distratti o somari – che le fabbriche di armi di distruzioni di massa di Saddam “ci sono (pausa) e funzionano (pausa) ora”. Ma anche il caro leader di Pyongyang ha le sue fabbriche che “ci sono (pausa) e funzionano (pausa) ora”. Però Tony Blair tace.

Perché lo tolleriamo? Perché lo tollerano gli americani? In questi ultimi giorni i mass media americani – i sostenitori più attivi e colpevoli della campagna di menzogne della Casa Bianca – hanno cominciato, anche se timidamente, a fare qualche domanda. Sono passati mesi da quando l’Independent, per primo, ha attirato l’attenzione dei suoi lettori sulle visite personali e più che amichevoli fatte da Donald Rumsfeld a Saddam Hussein a Baghdad nel 1983, nel periodo in cui l’Iraq usava gas tossici contro l’Iran. Ora anche il Washington Post si è finalmente deciso a spiegare ai suoi lettori che cosa sta capitando. La storia è questa: noi abbiamo creato il mostro, e anche il signor Rumsfeld ha fatto la sua parte.

Un buon esempio
Invece nessun giornale americano, e neanche britannico, ha osato indagare su un altro rapporto, pericoloso quasi quanto il primo: quello che l’attuale amministrazione statunitense sta stringendo alle nostre spalle con il regime algerino, notoriamente sostenuto dai militari. Da ormai dieci anni, in Algeria si combatte una delle guerre più sporche del mondo.

Una guerra che contrappone – così si vuol far credere – gli “islamisti” alle “forze di sicurezza”. Una guerra in cui sono state uccise quasi duecentomila persone, in maggioranza civili. Negli ultimi cinque anni si sono accumulati sospetti sul coinvolgimento di alcuni elementi di quelle stesse forze di sicurezza in alcuni dei massacri più sanguinosi, in cui sono stati persino sgozzati dei neonati. Nonostante questo, nel quadro della loro oscena “guerra al terrorismo”, gli Stati Uniti hanno fatto la corte al regime algerino, contribuendo a riarmare l’esercito di quel paese e promettendo altri aiuti. L’assistente del segretario di stato americano per il Medio Oriente, William Burns, ha persino dichiarato che Washington “ha molto da imparare dall’Algeria su come combattere il terrorismo”.

Naturalmente Burns ha ragione: le forze di sicurezza algerine possono insegnare benissimo come far credere a un prigioniero, uomo o donna che sia, che sta per morire soffocato. Il metodo è questo: si lega per bene la vittima e le si copre la bocca con uno straccio imbevuto di trielina, così il prigioniero soffoca lentamente. Ovviamente ci sono anche le solite unghie strappate e i cavi elettrici attaccati ai genitali. Tra i testimoni oculari di simili orrori ci sono stati alcuni agenti di polizia algerini, che hanno poi trovato asilo a Londra.

Il signor Burns ha ragione, l’America ha molto da imparare dagli algerini. E infatti il capo di stato maggiore dell’esercito algerino è già stato accolto calorosamente al quartier generale del comando sud della Nato, a Napoli.

Lezione imparata
E così, gli americani imparano. Il mese scorso un funzionario della sicurezza nazionale con un incarico nella Cia, parlando di prigionieri, ha detto: “Può capitare che i nostri ragazzi, con l’adrenalina che hanno in corpo quando li catturano, gli diano qualche calcio”. Un altro funzionario ha affermato che “nei pazienti che hanno subìto ferite, il controllo del dolore fisico è una cosa molto soggettiva”. Siamo giusti, però: sarà anche vero che tanta malvagità gli americani l’hanno imparata dagli algerini, ma avrebbero potuto benissimo impararla dai taliban.
Gli Stati Uniti hanno varato un programma da duecento milioni di dollari, chiamato Total Awareness (consapevolezza totale), che consentirà al governo di raccogliere informazioni sui movimenti di tutti i cittadini americani, monitorando la loro posta elettronica e i loro collegamenti alla rete. Inoltre chiedono insistentemente ai governi europei di avere accesso al contenuto dei file che riguardano i loro cittadini. La più recente, e la più inammissibile, di queste pretese è stata avanzata quando Washington ha chiesto di accedere alle registrazioni computerizzate di Air France, la compagnia aerea nazionale francese, in modo da tracciare il “profilo” di migliaia di passeggeri. Tutto questo va molto oltre i sogni più sfrenati sia di Saddam sia del caro leader Kim.

Nel frattempo, proprio a partire da queste premesse, si procede verso la guerra contro l’Iraq, che ha il petrolio, ma si evita la guerra contro la Corea, che il petrolio non ce l’ha. E i nostri governi la fanno franca. Così noi minacciamo degli innocenti, torturiamo dei prigionieri e “impariamo” da personaggi che dovrebbero trovarsi sul banco degli imputati per crimini di guerra.

Questo è il nostro vero omaggio alla memoria delle donne e degli uomini assassinati crudelmente nel crimine contro l’umanità compiuto l’11 settembre del 2001.

Traduzione di Marina Astrologo

E con ciò concludo. Chiedo venia se ho allagato il thread, ma se le avessi riassunte io certe considerazioni sarei stata accusata di subire la sindrome premestruale. Che dite, sarà l'andropausa il problema di Fisk ????
[SM=x145459]

[Modificato da eyebright 09/10/2004 12.51]

09/10/2004 12:48
 
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"Italièni! Cittadini! L'ora è scocchèta! La situazione è
ingarbuglièta! La politica mondiale è una stronzèta!".


AsKapoiSon
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votantonio votantonio numero 47
votantonio
----------------------------------------
get a life, get a minicall!!
09/10/2004 13:57
 
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Re: Re: Re: Re: Re:

Scritto da: theropithecus 09/10/2004 11.35



Pure in italia ci sono milioni di stranieri che sono in italia e non hanno nulla a che vedere con noi, ma qui non si sgozza nessuno, c'è chi lavora e viene rispettato, mentre chi ruba viene spedito in cella, tutto molto semplice, è quello che succede nei paesi democratici....



No, la risposta che cercavo polemicamente di suscitare è la seguente: perché in Iraq ci sono gli americani. Bush ha aperto un vaso di pandora a cui non si doveva neppure avvicinare. La sua invasione dell'Iraq ha catalizzato nel paese le forze terroristiche più estremiste che uno possa immaginare nei paesi islamici: ha agito da magnete. E, scusate la petulanza [SM=g27820] , noi l'avevamo detto, previsto e straprevisto [SM=g27818]

[SM=x145439]
09/10/2004 14:02
 
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Re: Re:

Scritto da: theropithecus 09/10/2004 11.40

Poi che gli afgani si facessero saltare in aria tra i civili, o sequestrassero civili che poi venivano sgozzati, io sinceramente non lo so.....



Mai sentito parlare dei Talebani e di tutte le cose carine che hanno fatto in Afghanistan negli ultimi decenni? Ebbene quei fondamentalisti sono stati appoggiati, armati, nutriti e portati al potere dagli USA contro l'USSR.

Con sgomento vedo la storia internazionale degli ultimi 50 anni è ancora sconosciuta a molti...
[SM=g27813]
09/10/2004 15:19
 
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Re: Re: Re:

Scritto da: Corcaigh 09/10/2004 14.02


Mai sentito parlare dei Talebani e di tutte le cose carine che hanno fatto in Afghanistan negli ultimi decenni? Ebbene quei fondamentalisti sono stati appoggiati, armati, nutriti e portati al potere dagli USA contro l'USSR.

Con sgomento vedo la storia internazionale degli ultimi 50 anni è ancora sconosciuta a molti...
[SM=g27813]




i Talebani li conosco bene, ed infatti sono stati cacciati da Kabul a calci nel culo. Però la situazione in Afghanistan è troppo complicata, la causa primaria ed iniziale è stata l'invasione dell'URSS, quindi se dobbiamo trovare un colpevole principale questi erano i comunisti. Poi che nella politica internazionale si cercano alleati cattivi(in questo caso i talebani) per combattere i propri nemici è un altra storia. In quel contesto storico l'URSS era il nemico numero uno, e poco importa se per combatterli ci si allea con i Talebani.


Ma questo è sempre successo nella storia dell'umanità e continuerà a succedere....
09/10/2004 15:55
 
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Burqa elettorali
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09/10/2004 16:08
 
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Re: Burqa elettorali

Scritto da: askatasuna 09/10/2004 15.55



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Re: Re: Re: Re:

Scritto da: theropithecus 09/10/2004 15.19



A theropitè, ma manco un'amica di vecchia data t'avrebbe messo a disposizione una rassegna stampa come quella di sopra. Ma perchè non te la leggi? Fatti del bene, senti a me.
Bubu, il comunistaccio, sta nell'armadio. Ci si spaventano i bambini piccoli [SM=x145460] .
[SM=x145459]
09/10/2004 17:11
 
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Re: Re: Re: Re: Re:

Scritto da: eyebright 09/10/2004 17.00

Scritto da: theropithecus 09/10/2004 15.19



A theropitè, ma manco un'amica di vecchia data t'avrebbe messo a disposizione una rassegna stampa come quella di sopra. Ma perchè non te la leggi? Fatti del bene, senti a me.
Bubu, il comunistaccio, sta nell'armadio. Ci si spaventano i bambini piccoli [SM=x145460] .
[SM=x145459]




In genere i post oltre le 5 righe non li leggo.....
09/10/2004 18:26
 
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Re: Re: Re: Re: Re: Re:

Scritto da: theropithecus 09/10/2004 17.11



In genere i post oltre le 5 righe non li leggo.....




Si vede...

10/10/2004 22:26
 
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Re: Re: Re: Re: Re: Re: Re:

Scritto da: Corcaigh 09/10/2004 18.26



Si vede...





Nella vita bisogna fare delle scelte, e quindi io scelgo cosa leggere e cosa no, cmq il principio della lettura di post che abbiano non oltre 5 righe, vale sempre......
11/10/2004 07:48
 
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Re: Re: Re: Re: Re: Re: Re: Re:

Scritto da: theropithecus 10/10/2004 22.26



Nella vita bisogna fare delle scelte, e quindi io scelgo cosa leggere e cosa no, cmq il principio della lettura di post che abbiano non oltre 5 righe, vale sempre......



x Eyebright: grazie per averci messo a disposizione questo materiale, è stato molto interessante.

Theropithecus, visto che volevi metterti nei miei panni, prova a leggere anche uno solo di quegli articoli.
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Re: Re: Re: Re: Re: Re: Re: Re: Re:

Scritto da: gior77 11/10/2004 7.48

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grazie Eyebright, interessantissimi articoli[SM=g27811]

ciao[SM=x145447]

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Do Androids Dream of Electric Sheep?
( Blade Runner - Philip K. Dick )

11/10/2004 11:45
 
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Re: Re: Re: Re: Re: Re: Re: Re: Re:

Scritto da: gior77 11/10/2004 7.48


x Eyebright: grazie per averci messo a disposizione questo materiale, è stato molto interessante.

Theropithecus, visto che volevi metterti nei miei panni, prova a leggere anche uno solo di quegli articoli.





Fammi un riassunto......[SM=g27828]
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11/10/2004 12:12
 
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no, fa tu uno sforzo..lascia perdere i rumours del tgcom...in 5 righe ci stanno solo le storie d'amore della marini e cecchi gori...e i tuoi post [SM=g27816]
[SM=x145445]
11/10/2004 13:21
 
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Re:

Scritto da: eyebright 11/10/2004 12.12
no, fa tu uno sforzo..lascia perdere i rumours del tgcom...in 5 righe ci stanno solo le storie d'amore della marini e cecchi gori...e i tuoi post [SM=g27816]
[SM=x145445]




e perchè dovrei fare uno sforzo?

Forse per fare contenta te?No, preferisco esserti antipatico....[SM=g27828]
11/10/2004 14:48
 
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Re: Re:

Scritto da: theropithecus 11/10/2004 13.21



e perchè dovrei fare uno sforzo?

Forse per fare contenta te?No, preferisco esserti antipatico....[SM=g27828]



per te stesso ... magari non cambi idea, ma la tua cultura personale ne sarà sicuramente arricchita ... [SM=g27828]
11/10/2004 14:52
 
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Re: Re: Re:

Scritto da: gior77 11/10/2004 14.48


per te stesso ... magari non cambi idea, ma la tua cultura personale ne sarà sicuramente arricchita ... [SM=g27828]





La mia cultura personale è già di buon livello, e cmq segue canoni diversi dai vostri......[SM=x145427]
11/10/2004 15:01
 
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Re: Re: Re: Re:

Scritto da: theropithecus 11/10/2004 14.52




La mia cultura personale è già di buon livello, e cmq segue canoni diversi dai vostri......[SM=x145427]




Non stavo dicendo che la tua cultura è scarsa, stavo solo dicendo che arricchirla con un punto di vista diverso dal tuo può solo che farti bene. Dopodichè puoi continuare a pensarla come vuoi.
Io, per farti un esempio, seguo spesso TelePadania ... altrimenti come farei a criticare le c....te che dicono senza informarmi di cosa parlano? [SM=g27828]
Più punti di vista conosci, più è facile sostenere il tuo, perchè conosci i limiti degli altri.
11/10/2004 15:44
 
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Re: Re: Re: Re: Re:

Scritto da: gior77 11/10/2004 15.01



Non stavo dicendo che la tua cultura è scarsa, stavo solo dicendo che arricchirla con un punto di vista diverso dal tuo può solo che farti bene. Dopodichè puoi continuare a pensarla come vuoi.
Io, per farti un esempio, seguo spesso TelePadania ... altrimenti come farei a criticare le c....te che dicono senza informarmi di cosa parlano? [SM=g27828]
Più punti di vista conosci, più è facile sostenere il tuo, perchè conosci i limiti degli altri.





Ma io credo invece che tu segui TelePadania solo per farti due risate......[SM=g27828]
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