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La tigre celtica è morta?

Ultimo Aggiornamento: 12/10/2011 20:34
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09/02/2009 23:33
 
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Frio, 09/02/2009 21.53:

Ho letto questo articolo che non ho trovato altrove sul forum, e ho pensato di postarlo qui... http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2009/01/26/tigre-celtica-addio-eurozoo.html



siccome non funzionava il link e lo riporto qui esatto ...davvero una bella storia per chi come me che non vive piu l'irlanda da 2 anni ...non invidio piu chi e' rimasto li nell'isola verde


Era il nipote di un immigrato italiano venuto in Irlanda per fare il muratore: mattone su mattone, Patrick Rocca aveva costruito un impero che avrebbe lasciato allibito il nonno. Aveva un patrimonio di centinaia di milioni, una moglie piena di glamour, amici come Bill Clinton e Tony Blair. Se la Tigre Celtica, il soprannome guadagnato dal suo paese negli anni del prodigioso boom economico, aveva bisogno di un simbolo, lui sembrava perfetto. Ma l' altro giorno un colpo di rivoltella lo ha mandato in frantumi: mister Rocca si è suicidato, sparandosi alla testa, in pigiama, nel giardino della sua faraonica villa con piscina. La stampa locale sostiene che stava per essere rovinato dal crollo della Anglo Irish Bank, travolta dai debiti e ora nazionalizzata dal governo, in cui aveva investito pesantemente. E quello sparo è risuonato cupamente nella ricca cocktail society della capitale irlandese, "come una campana", ha scritto un giornale, "che suona la fine del consumismo e dell' esuberanza". A Dublino, non c' è dubbio che la festa è finita. Nel settembre scorso, l' Irlanda è diventata la prima nazione dell' eurozona a entrare ufficialmente in recessione, dopo due trimestri consecutivi di crescita negativa.Quel mese, ignorando le preoccupazioni degli altri stati dell' Unione Europea, il governo irlandese garantì l' intero passivo di 440 miliardi di euro dei suoi sei istituti bancari domestici. Da allora, la crisi innescata qui come altrove dalla fine della finanza allegra, ha paurosamente accelerato. Il 2009 è iniziato con una notizia più brutta dell' altra. Prima il fallimento della Waterford Wedgwood, l' azienda di ceramiche e cristalli più antica e prestigiosa non solo d' Irlanda ma anche del Regno Unito. Qualche giorno più tardi, la Dell, multinazionale dei computer, ha annunciato la chiusura del suo stabilimento di Limerick, per trasferire interamente il quartier generale della sua produzione europea in Polonia, dove il costo del lavoro è di due terzi più basso: 2 mila dipendenti licenziati, la perdita del secondo maggiore esportatore, con un danno ancora più grande se si calcola che da ogni suo posto di lavoro ne derivavano altri cinque. Poi, a metà gennaio, il governo ha annunciato la nazionalizzazione della Anglo Irish Bank: un anno fa la banca valeva 7 miliardi di euro, adesso vale appena 160 milioni di euro. Se non fosse intervenuto lo stato, sarebbe andata a picco. E' stato un triplo shock per un' economia già alle prese con una crescente disoccupazione e un deficit di bilancio fuori controllo. Dopo un decennio in cui l' Irlanda aveva superato tutti i suoi partner della Ue crescendo e arricchendosi a un ritmo da "tigre asiatica", da cui il nomignolo che l' aveva contraddistinta, di colpo è sembrato che questo paese sia destinato a occupare di nuovo il ruolo che ebbe per molto tempo: quello di poverello d' Europa. Come segnala la cruda storiella che viene ripetuta alla Borsa di Dublino: "Quale è la differenza tra Irlanda e Islanda? Risposta: una lettera e all' incirca sei mesi". Vale a dire che, se l' isola un po' più a nord è praticamente andata in bancarotta alla fine dell' estate, anch' essa dopo dieci anni di scatenata ripresa economica, l' Irlanda seguirà la medesima sorte entro breve tempo. E' un brusco risveglio per un paese che appena due anni fa vantava il più alto reddito pro capite fra tutti i 27 membri della Ue, a eccezione del Lussemburgo. Sostenuta dall' assistenza economica dell' Unione Europea, da un regime fiscale favorevole per le società e da un boom immobiliare senza uguali in Europa tranne che in Gran Bretagna, quello che era stato per decenni il fanalino di coda del nostro continente è diventato il paese migliore per gli investimenti stranieri, in particolare dagli Usa. A un certo punto, secondo il Financial Times, ogni cinque posti di lavoro creati in Europa, uno era nella piccola Irlanda. Nel 2006 l' allora primo ministro Bertie Ahern ancora affermava che "il boom irlandese aumenterà ulteriormente velocità" e probabilmente pensava di poter continuare a governare più a lungo del suo collega Tony Blair a Londra. Insieme, Ahern e Blair, avevano mediato con successo l' altra spina nel fianco dell' Irlanda: il conflitto in Irlanda del Nord tra cattolici repubblicani (che vogliono la riunificazione con Dublino) e protestanti monarchici (che vogliono restare parte della Gran Bretagna). Pur senza avere deciso il futuro politico della un tempo bellicosa provincia, le due parti hanno abbandonato le armi e ora governano insieme in un regime largamente autonomo dal Regno Unito, dopo trent' anni di guerra fratricida: un miracolo, anche quello, che sembrava appartenere alla nuova era dell' Irlanda, non più terra di fame, insanabili conflitti intestini ed emigrazione, non più identificata con un cattolicesimo oltranzista e obsoleto, ma moderna, tollerante, benestante, capace di attirare immigrati anziché di esportarne. Le cose andavano talmente bene, da queste parti, che scrittori ed artisti ricevevano una totale esenzione dal pagamento delle imposte, anche se stranieri: purchè risiedessero per un certo numero di mesi all' anno in Irlanda. Insomma, il paese del Bengodi. La brusca inversione di tendenza si spiega in parte con la crisi globale, ma ad aggravarla sono fattori interni specifici. Tre elementi in particolare, simili a quanto sta accadendo nella vicina Gran Bretagna. Uno è il terremoto finanziario: tutto a un tratto la gente scopre che le banche irlandesi facevano prestiti e investimenti irresponsabili, che agivano con eccessiva disinvoltura, che sembravano più impegnate a distribuire bonus e premi ai propri manager anziché mettere ordine nei propri conti. Cadendo talvolta nella piena illegalità, nella truffa: in dicembre la Anglo Irish Bank, per il salvataggio della quale il governo si era appena indebitato per miliardi di euro, ha ammesso ad esempio di avere tenuto sistematicamente nascosti per otto anni quasi 90 milioni di euro di prestiti personali concessi al proprio presidente e trasferiti in segreto su un conto di un' altra banca irlandese. Una seconda causa del crollo irlandese sta nel settore immobiliare: le costruzioni hanno trasformato l' Irlanda negli anni Novanta, dal nulla sorgevano ovunque grattacieli, complessi residenziali, stravaganti centri commerciali, ogni città e cittadina aveva i suoi sobborghi di lusso all' americana, un boom che sembrava avere cambiato faccia alla nazione dei prati verdi e dei pub. I pub, in effetti, chiudevano a centinaia, uomini (e donne) non avevano più tempo o voglia di andarci, tutti pensavano solo a lavorare e far soldi, l' etica irlandese appariva mutata. Ma, come nel Regno Unito, era un boom costruito su prestiti e mutui. Quando è scoppiata la bolla immobiliare, le banche sono rientrate in possesso delle case, il valore degli immobili è precipitato, i cartelli con la scritta "vendesi" e "affittasi" si sono moltiplicati da un capo all' altro del paese. La terza ragione del voltafaccia è più sociale, psicologica. La riassume Mary McAleesem il presidente irlandese: "Siamo diventati un paese consumato dal consumismo. A un certo punto abbiamo cominciato a pensare che non volevamo rinviare ogni gratificazione, volevano tutto e subito". L' indebitamento personale è oggi trai più alti in Europa. E si risente parlare di emigrare come unica via d' uscita, almeno temporanea. Per ragioni più personali, scandali e stanchezza verso un leader che aveva governato troppo a lungo, Bertie Ahern è stato costretto a dimettersi un anno fa. A governare c' è sempre una coalizione di centrodestra, ma il suo successore, Brian Cowen, traballa: "Il 2009 porterà sacrifici e dolore", afferma, mentre il ministro delle Finanze Brian Lenihan prevede che Dublino sarà costretta prendere decisioni "che apparivano inimmaginabili fino a pochi mesi or sono". Qualcuno si domanda se tra queste non vi potrebbe essere un' uscita dall' euro: una svalutazione della moneta può essere la risposta a un' economia che si contrae. Con l' euro, questo l' Irlanda non lo può fare. Gli economisti locali citano proprio l' esempio dell' Islanda per ammonire che, senza l' euro e l' Europa, l' Irlanda affronterebbe la crisi attuale in condizioni ancora peggiori. Il rapporto tra l' isola e Bruxelles, in verità, non è mai stato facile. L' Irlanda ha già respinto in un referendum le riforme al trattato d' Unione, paralizzando qualsiasi cambiamento istituzionale nella Ue. Ora un secondo referendum è fissato entro la fine dell' anno. Il governo spera che la crisi convinca la popolazione che c' è bisogno di "più Europa di prima", non meno. Ma non tutti sono convinti che ci riuscirà. "Se votiamo no una seconda volta, potremmo rischiare di perdere tutti i benefici di far parte dell' Unione Europa", avverte il premier, che tuttavia inviava simili moniti prima del primo referendum e fu lo stesso sconfitto, sebbene tutti i partiti politici avessero fatto campagna per il Sì al trattato d' Unione. Nell' incertezza generale, l' Irlanda precipita: si prevede che quest' anno l' economia cali del 4,5 per cento, che la disoccupazione salga al 10 e il deficit al 9,5 per cento del pil. Fra i sedici paesi dell' eurozona, soltanto la Grecia è considerata un investimento più a rischio e paga di più per prendere denaro a prestito sui mercati internazionali. La Tigre Celtica non ruggisce più. A malapena miagola. - ENRICO FRANCESCHINI
[Modificato da sergio231 09/02/2009 23:34]
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