Sul
Corriere della Sera di ieri c'è un bel pezzo di Beppe Severgnini dedicato al Festival di Edimburgo.
Edimburgo e la fine dell'estate
Ho visto Garibaldi in kilt, George Bush con la barba, una mucca viola con le gambe all'aria, cubani scatenati in un tempio massonico, i Blues Brothers ringiovaniti e poi «Wit», lo spettacolo più triste nella storia del teatro mondiale, con un connazionale nella parte del dottore. Ho ascoltato Blair che cantava in falsetto, una hostess della Pan Am che strillava verità, undici studenti di Oxford che cantavano i Queen a cappella, e un sacco di gente certa di conoscere l'opinione di Dio. Tutto in 48 ore. No, non ero al Meeting di Rimini. Ero al Festival di Edimburgo, frutto interessante di fine estate.
A dire il vero, nella capitale scozzese, di festival ce ne sono sei: tutti insieme. C'è l'International Festival (EIF), in pista dal 1947; c'è l'International Film Festival (IFF); c'era, fino al 5 agosto, l'Edinburgh Jazz & Blues Festival (JF); c'è ancora il Military Tattoo (EMT) che non è, come credono alcuni turisti italiani, un posto dove farsi i tatuaggi macho. C'è l'International Book Festival (IBF), il motivo per cui mi trovavo da quelle parti. E c'è il Festival Fringe (FF), con 31 mila rappresentazioni di 2.050 spettacoli in 250 sedi. A Rimini si rassegnino: neppure i cattolici, che pure hanno un certo talento per la frammentazione, riuscirebbero a dividersi così tanto. Cosa colpisce, di Edimburgo, di Mantova e di tutti i raduni in corso o in arrivo? Questo: il prodotto finale è superiore alla somma dei fattori. C'è un extra di gioia nello stare insieme - sono sicuro che accade anche a Rimini - e l'abbondanza di scelte, dopo poche ore, non dispiace. L'estate, per molti, è un tempo privato. I ritrovi di fine agosto/inizio settembre - ci metto anche le feste di partito, spesso più in salute dei partiti che intendono festeggiare - rappresentano il ritorno in società. Anticipano quello che è, a tutti gli effetti, il vero capodanno: l'inizio delle abitudini e del lavoro. Edimburgo porta tutto ciò a livelli parossistici.
L'Europa, nonostante tutti i tentantivi della Ue di renderla noiosa, si ritrova e si piace, mostrando la sua qualità più bella: la concordia nella diversità. Perfino gli scozzesi - forse per distinguersi dagli inglesi, che i riti estivi se li celebrano in famiglia (Ascot, Henley, Glyndebourne) - partecipano alla festa. Non è vero, come ha scritto il giallista indigeno Ian Rankin, che gli abitanti di Edimburgo corrano a nascondersi dagli invasori, come hanno fatto per secoli. Si divertono, invece, anche se all'inizio sono un po' confusi. Ma poi trovano sempre un italiano che gli spiega quello che sanno già. Forse sono distratto, forse sono rimasto poco, forse m'illudo. Ma ho trovato la città - dove sono stato studente nel 1974, e poi diverse volte come giornalista o scrittore - in gran forma, e di ottimo umore. Se Londra è una cosmopoli ansiosa, Edimburgo è l'ultima porta elegante d'Europa, prima del verde vuoto del nord. La culla di Sherlock Holmes, Peter Pan, Dr Jekyll e Harry Potter, in agosto, diventa la città dei ragazzi. Ragazzi normali, a guardarli: sciatti e sognanti, soli e in branco, con l'aria seria che si ha vent'anni quando si fanno cose non del tutto serie. Nelle viscere dell'Underbelly o nei caffè di Chambers Street, ci ricordano com'eravamo e come, in fondo, vorremmo fossero i nostri figli: indipendenti e curiosi. Consiglio il Festival di Edimburgo, ai ragazzi e ai genitori d'Italia: cento euro di biglietto aereo, e un buffet di occasioni per il cervello. Meglio delle notti-trappola sulle strade italiane, fuori da locali pieni di rumore per coprire l'imbarazzo di non saper cosa dire.
Dal Corriere della Sera, giovedì 23 agosto 2007