No Giovanni, non è rubbish.
Prima di tutto, teniamo conto che è il Telegraph che è conservatore per cui tutto ciò che non è Britannia è wogs. Una volta tenuto conto di questa caratteristica, rimuovi il "filtro" dall'articolo e vedi che lo scheletro corrisponde a pura realtà. Qual è la parte con cui non sei d'accordo? Che una vita decente è impossibile senza l'aiuto familiare? L'impossibilità per uno straniero di fare fronte al muro burocratico? L'assoluta disorganizzazione di molti sistemi sociali ed economici?
Tra il '93 ed il '94 io e quello che sarebbe stato in futuro mio marito decidemmo di passare qualche tempo in Italia. Ci successe di tutto, però ammetto che in quel periodo c'era una recessione nera. A parte le giustificazioni socio-economiche, a mio marito fu negato il diritto di "esistere" come cittadino che pagava le tasse su territorio Italiano. Gli fu impossibile prendere la residenza in 12 mesi di domicilio italiano, nonostante nel frattempo fosse diventato anche il consorte di una cittadina italiana. Non avendo la residenza, non potè acquistare NULLA a suo nome, nemmeno la scassata Fiat di terza mano che acquistammo, sotto il mio nome appunto. Il permesso di lavoro (che ci voleva, non so adesso, ma ai tempi anche per un regolare cittadino EU di passaporto Irlandese, mentre l'irlanda contemporaneamente sfamava parecchi italiani su suolo irlandese con il sussidio di disoccupazione senza fare ne` ah ne bah) lo ottenne solo grazie ad un arruffino che lavorava per l'amministrazione della sua azienda milanese e che gli fece saltare una mattina un'intera coda al tribunale grazie ad una "conoscenza" sua nell'ufficio.
In testa a tutto ciò, affittammo per un anno due appartamenti (sei mesi l'uno) ad "uso foresteria", che non esiste più, ma ai tempi significava che il proprietario inciuciava l'ufficio tasse dichiarando il falso uso dell'immobile. A dire il vero il secondo contratto di affitto non venne neppure dichiarato (=in nero). Dimenticavo: i contratti di affitto erano a mio nome perché nel frattempo Gerard non era ancora riuscito ad avere la residenza.
Ah! Nonstante il marito pagasse fior di tasse e sanità, dato che non aveva residenza non aveva diritto al medico di famiglia gratis. Fu la pietà e gentilezza de mio medico che non gli fece pagare la visita un paio di volte, probabilmente scandalizzato lui stesso dalla situazione.
Queste difficoltà, altri motivi personali ed il fatto che non si navigasse nell'oro (io persi il lavoro dopo qualche mese grazie alla recessione e gli affitti erano spropositati per la qualità "decadente" -eufemismo- degli appartamenti e per il fatto che comunque dovevo farmi 15 minuti di treno per arrivare a Milano), non hanno reso la nostra permanenza nella Milano da pere degna di essere ricordata con tenera nostalgia. In pratica, ce ne scappammo e ritornammo a dublino, per fortuna qualche mese prima dello spropositato boom edilizio. Una lungimiranza che ci permise di acquistare una casa che in Italia sarebbe stata assolutamente inimmaginabile e dopo qualche mese non ci saremmo potuti permettere neppure in Irlanda.
Inutile dire che, dopo aver perso il lavoro in Italia, trovai lavoro a Dublino in due settimane (due curriculum mandati, due colloqui). Degli innumerevoli CV che mandai in Italia invece non più avuto notizia, al solito stile, nemmeno una risposta con una lettera circolare per dirmi che gli facevco schifo.
Il motivo per cui l'Irlanda di Bertie mi fa incazzare è perché sta diventando anch'essa una banana republic. Perché sta prendendo la piega e le caratteristiche di quel sistema che ci ha masticato e risputato anni fa e da cui ce ne siamo andati con i cerotti.
Ed è inutile battere i piedi, farsi prendere dall'orgoglio nazionale e dire "non è vero". L'Italia è quella. E se l'Irlanda scende agli stessi livelli, ho le valige pronte.
(non per l'Italia, ovviamente
).