Un articolo di Ritanna Armeni su Liberazione di oggi (che condivido in massima parte)
Clemenza e perdono, quei valori che la sinistra non ama
Ritanna Armeni
C’è molta ipocrisia e poca logica in questi attacchi che si continuano a sferrare alla legge sull’indulto. Dimenticando ogni logica ci si indigna perché in seguito all’indulto approvato dal Parlamento escono dalle carceri italiane rapinatori e omicidi, spacciatori e delinquenti di ogni tipo. Come se le carceri fossero popolate da onesti e probi cittadini e l’indulto non riguardasse proprio esattamente chi ha commesso un reato.
E con ipocrisia, soprattutto a sinistra, si continua a distinguere fra i “poveri cristi” che giustamente escono dal carcere e i ricchi che hanno rubato allo stato e alla collettività e quindi dovrebbero rimanere in carcere. Illustri professori e giornalisti, magistrati e fior di intellettuali fingono di ignorare che l’indulto, quello che fa uscire dalle carceri “i poveri cristi” nel nostro parlamento si ottiene solo con la maggioranza di due terzi e che quindi per fare uscire alcune migliaia di “poveri cristi” si deve fare uscire anche qualche manigoldo che povero cristo non è.
La legge sull’indulto proprio non va giù a tanta parte della sinistra. Perché? Perché questa insistenza e questo accanimento contro un provvedimento approvato da due terzi del Parlamento? Perché proprio da sinistra vengono questi attacchi? E spesso proprio dalla sua intellettualità: giornalisti, magistrati, scrittori?
Paolo Franchi sul Riformista e Piero Sansonetti su Liberazione si sono già posti questo problema e hanno dato una risposta. E’ vero quello che dice Franchi. Nella storia italiana di questi ultimi anni politica e giustizia si sono mischiate troppo e si è affermata l’idea che il compito della politica, il suo compito principale, sia fare giustizia. E’ vero quello che afferma Sansonetti quando mette in guardia la sinistra dalla confusione fra saggezza politica e consenso. E ricorda che sarebbe molto pericoloso che la politica seguisse i sondaggi e quindi - nel caso dell’indulto - si fosse adeguata all’opinione facile e corrente per cui chi sta in carcere lì deve rimanere e scontare la sua pena. Se si seguisse la pubblica opinione in Italia probabilmente sarebbe già instaurata la pena di morte.
Ma io credo che sotto questa resistenza ad accettare l’indulto soprattutto da parte degli intellettuali ci sia dell’altro. Ci sia una profonda resistenza ad accogliere nella propria cultura alcune parole e valori come “clemenza”, “perdono”, “comprensione”, “indulgenza”, “pietà”. Nella cultura della sinistra queste parole non hanno mai avuto asilo. Sono il contrario di forza, coerenza, rigore, parole che - si potrà facilmente constatare - abbondano nel discorso politico.
Le prime appartengono piuttosto alla tradizione e alla cultura cattolica di cui la sinistra per lungo tempo si è sentita avversaria. Nella tradizione storica della sinistra sono associate a debolezza, mancanza di rigore, collusione con il nemico. Ma soprattutto sono parole “femminili”, appartengono ad un universo di conoscenza e sapienza a cui la “rigorosa”, “forte”, “coerente”, “organica” intellettualità di sinistra è evidentemente ancora in gran parte estranea.
Niente di nuovo sotto il sole. Nella famiglia non è il padre colui che regola e punisce e la madre colei che consola e perdona? E lo stato anche a sinistra - come si sa - è e deve essere maschio.
Ovviamente non si vuole generalizzare. Se la legge sull’indulto è stata approvata lo si deve anche al fatto che la cultura delle parole forti e maschili non è più così egemone. Ma ancora oggi si fa fatica ad affermare il valore della clemenza e del perdono. Non è un caso se nel dibattito parlamentare e sui mass media per giustificare l’indulto si è preferito insistere ed enfatizzare un lato del problema, importante certo, ma non unico, come il sovraffollamento delle carceri e dare in questo modo al provvedimento una caratteristica di praticità, efficienza, realismo piuttosto che insistere sull’atto di clemenza e di perdono. E anche di nuova fiducia nei confronti di chi ha sbagliato.
Le domande a questo punto sono due: la clemenza e il perdono appartengono, possono appartenere ad una cultura di sinistra? E la loro affermazione contrasta davvero con il rigore e la legalità di cui in tanti si fanno paladini? Chi scrive crede che ne facciano parte. Negarli significa, infatti, attribuire totalmente e completamente al singolo individuo una colpa che proprio la sinistra dovrebbe sapere non è mai o non è mai sempre e completamente solo di chi la commette. La clemenza implica la comprensione, l’indulgenza; viene quando si va a fondo alle cause del crimine per migliorare ed educare non solo l’individuo, ma la società.
Applicare rigore e legalità significa riportare il colpevole nelle regole che la società si è data per non autodistruggersi sapendo però che sono sempre da perfezionare e da modificare. Il tossicodipendente che ha commesso violenze indica un problema che ci riguarda tutti. La sua punizione non ci esime dal comprendere e dal cambiare mentre si cerca di riportare il deviante nelle regole e nella legge. E la pietà e la comprensione sono fondamentali per cambiare a fondo quel che riteniamo dannoso alla convivenza sociale. La punizione ci vuole, ma da sola non basta perché concentra tutto sulla colpa dell’individuo ed esime da altre importanti indagini.
Per questo credo che oggi non sia “più a sinistra” chi critica e urla contro l’indulto ma chi si pone concretamente il problema di che cosa fare “dopo” l’indulto, perché chi è uscito dal carcere non ci torni, chi ci entra trovi condizioni umane, e chi deve rispondere alla giustizia lo possa fare in tempi rapidi e certi. Senza aver paura che questo stato per tanto tempo “padre” diventi anche “madre”.