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Violenza negli stadi

Ultimo Aggiornamento: 10/05/2005 15:14
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Così Londra ha domato il teppismo


Un altro mondo. Ovvero l'Inghilterra vista da un campo di calcio. Stadi con posti a sedere, coperti, sicurezza garantita da steward, polizia ridotta al minimo all'interno dell'impianto, telecamere ovunque, niente barriere verso il campo né tra i diversi settori. Il che non vuol dire che i tifosi non se la diano più di santa ragione, solo che ora capita fuori dagli stadi. Spesso molto fuori.
Può sembrare una magra consolazione ma è già un primo significativo risultato. Se l'Inghilterra degli anni '80 era caratterizzata da scorribande nelle curve altrui (il cosiddetto «take an end», letteralmente «piglia la curva»...), ora sembra di stare a teatro. Un risultato frutto di una serie di provvedimenti durissimi, che hanno inferto un colpo mortale al fenomeno hooligans. La pietra miliare è il «Taylor report», ovvero l'indagine del governo datata 1990, al termine di sei anni di fuoco. Dalla devastazione dello stadio del Luton da parte di 8.000 tifosi londinesi del Millwall in diretta tv (un chiaro segnale ai primi tentativi di contenere il fenomeno da parte di Maggie Tatcher), alla tragedia dell'Heysel per finire con quella dell'Hillsborough di Sheffield, che più colpì gli inglesi. Novantasei tifosi del Liverpool morti schiacciati contro la recinzione sotto la pressione dei loro concittadini che cercavano di entrare senza biglietto.
Con il «Taylor report» a tutte le società viene imposta la ristrutturazione degli stadi: seggiolini numerati, via le barriere, telecamere a circuito chiuso e affidamento alla società della sorveglianza interna. Parallelamente inizia una vera e propria azione di «intelligence» nei confronti dei tifosi, con tanto di poliziotti infiltrati e provvedimenti che farebbero inorridire qualsiasi garantista nostrano: arresti in flagranza stradifferita (anche una settimana), pene pecuniarie e detentive salatissime, schedatura di 7.000 ultras e arresto di oltre 15 mila, anche su segnalazione anonima.
Per sostenere le spese, le società da una parte incassano i diritti televisivi di Sky, dall'altra alzano i prezzi dei biglietti (il West Ham vende addirittura abbonamenti decennali, con scarso risultato...) e puntano sul merchandising. Sembra un azzardo ma alla fine i risultati arrivano, e quei ceti medi che si erano allontanati dagli spalti preferendo sport come rugby e cricket tornano allo stadio. Nonostante la pay-tv gli impianti sono sempre pieni, e se ne realizzano di nuovi. A Stamford Bridge, tana del Chelsea, si costruisce anche un albergo annesso allo Shed, la curva dei terribili tifosi di casa: solo qualche anno prima si era pensato a recinzioni con corrente elettrica, tanto per far capire come girano i tempi.
Persino in un monumento come Anfield a Liverpool la musica è cambiata: sotto il celeberrimo Kop (probabilmente la curva più famosa del mondo) ora c'è un megastore dove tifosi ospiti e di casa si mescolano alla ricerca di gadget. Tutto sotto il discreto controllo dei bobbies fuori dall'impianto e degli steward dentro: sotto le gradinate si vende birra, ma non è possibile varcare la soglia degli spalti col bicchiere (di plastica) in mano. E una volta seduti, davanti a qualche intemperanza di troppo (mica al lancio di bengala, basta qualche accidente verso il settore ospiti, perché oltremanica è reato anche il comportamento cosiddetto «allarmante» anche se non violento) c'è il rischio di sentirsi picchiare sulla spalla da uno zelante steward che ti indica l'uscita. Chi dice di no rischia il ritiro dell'abbonamento: per qualche partita, per la stagione intera o per sempre. Poi magari qualche isolato più in là, in quelle vie che piacerebbero tanto al regista Ken Loach, ci si scontra alla vecchia maniera, ma questo è un altro discorso.
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.....ORIANA VIVE........

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