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Ken Loach

Ultimo Aggiornamento: 26/09/2007 00:04
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Scritto da: Corcaigh 03/07/2006 11.28
Il solito pressapochismo di molti giornalisti Italiani, purtroppo... premetto che non sono riuscita a collegarmi all'articolo (che l'abbiano tolto di mezzo per vergogna [SM=g27820]: ), ma grazie Donegal per aver segnalato quegli erroracci. Certo che magari prendere in mano un libro di storia irlandese, prima di scrivere certe cose.... [SM=x145462]




Oltre al pressappochismo di molti giornalisti, aggiungici anche l'indole scassapalle del Donegal [SM=g27828]
L'articolo è ancora li, comunque lo copio e incollo di seguito:

Se il vento di Loach non scuote i critici

30/06/2006
di Vera Brozzoni

I recensori italiani e inglesi sono più o meno tutti d'accordo: l'ultima fatica di Loach "The Wind That Shakes The Barley" è un bel film, ma non è un gran film. E allora perché ha vinto la Palma d'Oro? Forse perché non quest'anno la Compétition cannense non ha offerto valide alternative? O forse perché Cannes sta diventando sempre più un festival “politico”? Se si scorre la lista delle Palme degli ultimi anni, appare una serie di film che in qualche modo odorano di impegno civile; a volte sono bei film ("Il Pianista"), altre volte sono pamphlet costruiti ad uso e consumo di un pubblico che sa già come pensarla ("Fahrenheit 9/11"). Purtroppo "The Wind That Shakes The Barley " segue quest'ultimo filone, e sconta gli innegabili momenti drammaturgicamente potenti con l'irritante schematicità della storia e la categorica, perciò superficiale, caratterizzazione dei personaggi.
La storia narra un episodio cruciale nella guerra d'indipendenza irlandese (1920-1922), cioè gli scontri fra i nazionalisti irlandesi e i Black and Tan, le squadre militari mercenarie inglesi inviate ad occupare il suolo irlandese. Nei dintorni di Cork, un gruppo di amici organizza la resistenza armata: fra loro ci sono i fratelli Teddy e Damien, il quale rinuncia agli studi di medicina per giurare fedeltà all'esercito irlandese. La guerriglia porta alla stesura di un trattato di pace fra il governo britannico e lo Sinn Féin, ma gli irredentisti lo giudicano un compromesso ipocrita; mentre Damien insiste per lottare fino ad ottenere una vera indipendenza, Teddy si unisce ai moderati, e fra loro sarà la tragedia.
Come prevedibile, la stampa inglese ha attaccato duramente il film, definendolo “un manifesto di reclutamento dell'IRA”, “anti-british” e così via; stupidamente, nessuno di loro ha annesso, oltre agli insulti, una critica ragionata e sostanziale. E dire che "The Wind" offre benissimo il fianco ad attacchi di natura cinematografica: la sceneggiatura di Paul Laverty è convenzionale e solo raramente raggiunge apici di emozione. I momenti migliori sono due: la scena in cui Damien e i suoi compagni, in carcere, intonano una canzone tradizionale mentre i Black and Tan stanno torturando Teddy; e la violenza subita da Sinéad, fidanzata di Damien, senza che quest'ultimo, che vede tutto da dietro una felce, possa intervenire. Ma la cosa peggiore sono i personaggi: nessuna sfumatura, gli inglesi sono brutti, sporchi e cattivi mentre gli irlandesi sono genuini, eroici e pure bellocci (menzione speciale a Cillian Murphy, ovviamente). Gli inglesi entrano in campo solo per picchiare gli irlandesi, è già un miracolo che abbiano due righe di dialogo complessivo; agli irlandesi invece è concesso tutto il tempo per sviluppare pensieri, innamorarsi, proclamare fedeltà alla bandiera, immolarsi in nome dell'integrità politica.
E quando alcuni combattenti decidono di passare dalla parte dei moderati e di fatto accettano il compromesso con l'Inghilterra, magicamente spariscono dalla storia, o vi riappaiono brutti, sporchi e cattivissimi! Tanto peggio, perché in questo modo il film sfavorisce il tema che avrebbe potuto essere portante: il conflitto fra i fratelli Teddy e Damien; mentre il film continua a seguire le azioni di Damien e a fargli declamare slogan (ovvio, lui è il buono), non una scena è spesa sullo straziante dilemma interiore di Teddy, il quale alla fine si trova a fare una scelta insopportabilmente tragica; ma lui è un moderato, quindi un perfido traditore della causa, quindi non può avere scrupoli o dubbi. Ora, che la de-umanizzazione del nemico sia utile ai fini tattici in tempo di guerra è sicuro; ma è anche segno di una mente rigida e ottusa, proprio ciò che un regista sedicente progressista come Loach dovrebbe deplorare, e che infatti deplora nei suoi detrattori.
Ad ogni modo, ancora una volta il regista ha raggiunto il suo obiettivo: provocare una discussione politica. Il che è certamente un merito, soprattutto visto che gli inglesi tendono a chiudere gli occhi di fronte alla questione irlandese; non a caso, sia l'intero cast che la troupe sono irlandesi.
Anzi, a ben vedere, più che un regista in senso stretto Loach si può definire un agitatore, un conferenziere. Tant'è che al lancio londinese del film, avvenuta qualche giorno fa al cinema Curzon Soho, Loach arriva al dibattito provvisto di fogli su cui ha annotato i commenti giornalistici che gli fanno comodo per spiegare le sue tesi. E come ogni buon conferenziere, anche lui ha un ampio raggio di temi su cui fa riflettere il pubblico: pare quasi che Loach si faccia portavoce universale di qualunque nazione / classe sociale / individuo sia vittima di un'ingiustizia (e invero, non ha che l'imbarazzo della scelta), tanto sa bene che nessuno gli dirà mai “Ken, fatti gli affari tuoi”.
Non a caso nelle interviste, nelle conferenze stampa e nei dibattiti come quello al Curzon, Loach parla sempre e solo di politica, mai di cinema; ma la cosa più preoccupante è che le sue risposte sono sempre le stesse, a Londra come alla conferenza stampa cannense come probabilmente ovunque: “In Irlanda ieri come in Iraq oggi, l'Inghilterra occupa il suolo straniero con l'esercito”, “Credo che si possa davvero cambiare il mondo se lo vogliamo”, e via dicendo. Da parte sua, il pubblico gli fa solo domande che riguardano, in questo caso, i rapporti fra Inghilterra e Irlanda et similia; soltanto una donna osa domandargli come mai il regista non abbia voluto sottotitolare le parti di dialogo recitate in irlandese, e finalmente lui dà una risposta interessante: “Prima di tutto perché certe espressioni sono intraducibili, e poi perché volevo che il pubblico inglese lottasse con una lingua straniera; la lingua è infatti un prezioso strumento di autodeterminazione, non a caso i colonizzatori di ogni epoca hanno imposto la loro lingua ovunque andassero a conquistare”.
Dopodiché, il dibattito ricade in una sequela di slogan che non vale nemmeno la pena di riportare; un po' poco per il vincitore dell'ultimo Cannes. A scanso di equivoci, "The Wind" rimane un buon film e Loach rimane un buon storyteller ; però entrambi lasciano una lieve insoddisfazione; personalmente sono convinta che se il regista Loach si impegnasse quanto il politicante Loach, allora sì che sarebbe anche un grande cineasta. Allora sì che meriterebbe la Palma d'Oro.
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Good evening, there was already an injury, huh?

Giovanni Trapattoni, falling off his chair
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