Irish Travellers

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Shamrock80
00venerdì 23 giugno 2006 17:09
Veramente se proprio vuoi fare il preciso,i Celti qui in Irlanda arrivarono dalla popolazione La Tene (Svizzera)

comunque ad essere sincera non capisco i tuoi commenti (anche a causa della punteggiatura che manca)...mi pare che tu ti contraddica un po',o non so dove vuoi arrivare!
e in ogni caso,stiamo andando off topic. [SM=g27823]
Leargalad
00venerdì 23 giugno 2006 21:59
A dire il vero ultime ricerche hanno scoperto che i Goideli come si credeva negli anni cinquanta e sessanta non vengono dalla svizzera,luogo dove si è sviluppata la prima fase di La Tenè, ma appunto dalla celtiberia.
io dico semplicemente che una persona non è celtica perchè ha un micro gene di un antichissimo popolo europeo, ma che dipende, dai valori e dalla cultura da essa adottatiti, e quindi un nigeriano può essere più "celtico" di un irlandese.

[Modificato da Leargalad 24/06/2006 1.41]

=Donegal=
00venerdì 23 giugno 2006 23:35
Re: Re: Re:

Scritto da: gior77 23/06/2006 13.30


pure io: rosso cabernet.

[SM=g27828]



Pensavo trasparente come la grappa... [SM=g27828]
la brucaliffa
00lunedì 6 novembre 2006 17:39
fantastico!
ho letto tutto e mi è stato molto utile,
è molto tempo che cerco di saperne di più sui TRAVELLERS,
una volta un amico musicista di ritorno dall'irlanda mi ha raccontato di una sua serata passata a suonare con loro,
e più raccontava più io subivo il fascino della loro vita.
mi interesserebbe tanto fare un'esperienza con loro,
ma tutti mi dicono che prima mi devo "documentare"mah,secondo me sarebbe meglio partire e chiedergli se posso fare un pezzo di strada con loro......
se ne sapete ancora,dite dite dite.....

Delbchaime
00lunedì 6 novembre 2006 18:58
questo è il pezzo che parla dei Travellers su una guida del 1991
(Viaggiare Bene - Irlanda - di Wolfgang Kuballa, Gremese editore, 1991)
volenterosamente trascritta, a voi:


THE TINKERS
Gli ultimi nomadi d’Irlanda

Parcheggiano le loro roulottes poco fuori dai centri abitati, dove i margini della strada sono più larghi; bambini giocano nella polvere, già sporchi nei loro vestiti appena lavati. Panni sono stesi ad asciugare sulla siepe che delimita il campo d’un vicino. Anche una trapunta più volte rattoppata è stesa al sole, appoggiata su due vecchie sedie, mentre alcuni cani si rincorrono abbaiando tra i caravan, che sono cinque, tutti con tendine ricamate in mille colori. Sul bordo della strada, allineati come in una vetrina senza vetri, stanno un paio di pentole, un rotolo di linoleum e alcuni mobili, in attesa di essere notati da qualche acquirente. Così vivono i Tinkers, gli ultimi nomadi d’Irlanda. Il nome deriva da “tin”, che significa stagno, perché quando nei cottages dal tetto di paglia si usava ancora cucinare sul fuoco, essi si spostavano da un villaggio all’altro in cerca di lavori occasionali, ed erano appunti specializzati nel riparare e stagnare le pentole di rame. In seguito, grazie al mutare delle condizioni economiche e sociali dell’Irlanda, le primitive modeste abitazioni finirono per essere soppiantate da più moderni bungalows, ma i Tinkers sono rimasti gli stessi di secoli fa.
Nessuno sa quale sia l’origine di questo popolo di nomadi, il cui stile di vita è perfettamente analogo a quello degli zingari che vivono in Inghilterra o sul continente: fermarsi un po’ in un posto, poi un giorno caricare le proprie poche cose e partire alla volta del villaggio successivo. Talvolta si riuniscono nelle grandi fiere o durante le feste tradizionali, come il Puck Fair di Killorglin, o le corse di cavalli di Listowel, o ancora ai mercati di pony del Connemara. Al contrario degli zingari però, i Tinkers hanno generalmente capelli e occhi chiari, caratteristiche che hanno fatto pensare a loro come ai discendenti di antiche popolazioni indigene, o di pastori e contadini cacciati dall’esercito di Cromwell nel XVII secolo; ma potrebbe anche trattasi semplicemente di persone che non hanno voluto uniformarsi alle regole del vivere sociale, pronipoti di “ribelli” dei secoli passati. Sono organizzati secondo una struttura tribale, e ogni clan delimita e difende il proprio territorio. Parlano una lingua gergale, non priva di tracce della lingua internazionale degli zingari, ma con preponderanza di termini propri, varianti del gaelico e dell’inglese. A differenza degli zingari, i Tinkers non hanno elaborato una propria cultura e sono cattolici come il resto della popolazione: il nomadismo resta quindi il loro solo tratto veramente distintivo. Un tempo i Tinkers si spostavano sulle strade d’Irlanda su veicoli trainati da cavalli, grossi carri con copertura a botte e fiancate dipinte a colori vivaci, quali oggi si affittano a turisti con il gusto dell’avventura; attualmente si servono però di automobili e roulottes. Si dedicano alla raccolta dei rottami, che poi vendono con tutte le cianfrusaglie recuperate nel corso dei loro spostamenti. Donne e bambini chiedono l’elemosina nelle piazze e nei mercati, e rubano, anche, secondo l’opinione di certuni. D’estate, quando il sole splende su un cielo azzurro intenso, le notti sono brevi e le giornate lunghe, lo stile di vita dei Tinkers può assumere ai nostri occhi una connotazione romantica, così affascinante, sereno e vicino alla natura com’è; anche l’autore di questo libro (Wolfgang Kuballa) su è cimentato in una vacanza a bordo dei carri tradizionali. Non appena però arriva il freddo, comincia a piovere senza interruzione e non avete più un centimetro di pelle asciutta, allora tutto il romanticismo viene a cadere, e gli accampamenti ai limiti della strada appaiono per quello che sono: alloggi miserabili dove bambini tremanti dal freddo si stringono l’un l’altro in cerca di un po’ di calore. In Irlanda ci sono circa 2500 famiglie di Tinkers; molti degli adulti sono analfabeti e i bambini non vanno a scuola. Il governo, cercando di favorirne lo stanziamento, ha vietato ogni tipo di accampamento temporaneo, come recitano i cartelli innalzati negli slarghi ai margini dei paesi, spingendo molti a restringersi sempre più nelle zone suburbane intorno a Dublino: ma sono ancora in tanti a rifiutare al sistemazione “regolare” che lo stato offrirebbe loro.
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