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UNA RICERCA SUGLI ITALIANI IN IRLANDA

Ultimo Aggiornamento: 23/09/2007 10:37
11/09/2007 00:25
 
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Quella italiana non è un’emigrazione. Emigranti saranno i polacchi, forse, ma non noi. Qui, noi restiamo poco tempo, più o meno il tempo di un pranzo al ristorante, e quando siamo arrivati avevamo anche valigie carine e di buona qualità.
Mio padre/mio nonno si sono spostati da sud a nord, in Italia, molti e molti anni fa. Loro sì che si sono fatti il mazzo; loro sì che pensavano di rimanere nel luogo dove s’erano spostati insieme alla famiglia; loro sì che erano – ahiloro – i «terroni». I «terroni», qui, non siamo noi.

Dopo i fish and chips dei ciociari, è toccato all’information technology; poi è stata la volta dei call centre: i settori d’impiego degli italiani sono essenzialmente questi, eccezion fatta per coloro che – da cervelli più che da manodopera – son fuggiti dall’Italia per motivi di ricerca.

Noi – minoranza, in Italia – ci siamo rotti le scatole, e abbiamo deciso di muoverci anche per curiosità intellettuale, per vedere il mondo. La stragrande maggioranza di noi, del resto è venuta qui per fare un’esperienza. Anche perché, poi, avevamo un rigetto – per alcuni proprio totale – verso alcuni aspetti della nostra vita in Italia.

La vita qui era più lenta; o perlomeno, non era una corsa continua da mattina a sera, una sequenza di giorni da trascorrere in un ufficio perché quel che contava era vivere per lavorare. Però a volte sembra che, perlomeno a Dublino (ormai quasi una specie di piccola Londra, a differenza di altri centri urbani e di altre realtà rurali), le cose siano molto cambiate. Non è più come una volta, e chissà – poi – se quest’«inglesizzazione» è stata un bene oppure un male. Bisognerebbe storicizzare, ma qui non tutti possiamo essere d’accordo. In ogni caso, l’Irlanda non è rose e fiori, soprattutto per chi abbia con sé i suoi bambini. Lo Stato irlandese s’è sostanzialmente dimenticato dei bambini, collocandoli in una dimensione di stampo privatistico-confessionale che, come categoria sociale, li ha privati di diritti.

D’altra parte, pur vedendo con chiarezza questi aspetti negativi, o anche solo opachi, resta il fatto che questa è stata una terra che ha pur sempre saputo fornirci opportunità che in Italia apparivano più difficili; in parte per questioni relative a costumi corruttivi così profondi da inquinare la nostra fiducia nel futuro (ma anche qui si stanno attrezzando bene, per trascuratezza e corruttele!); in parte perché ci ha consentito di rallentare la nostra vita, di diluire lo stress, di sistemarci in un limbo nel quale rimanendo in Italia non ci saremmo mai consentiti di stare. È anche vero che nel tuo Paese ti senti titolare di diritti per il solo fatto di esserci nato, e che quindi ogni occasione in cui i diritti non ti vengono riconosciuti rappresenta un motivo di sofferenza profonda; all’estero, invece, è talmente evidente che dovrai faticare duramente per riuscire a conquistare qualche risultato che quando ti viene negato qualche diritto ti sembra quasi normale, ti pare d’averlo già messo in conto, non ti ferisce come un tradimento, ma come un problema.
Ecco perché, forse, torniamo in Italia dopo un po’: perché quando sentiamo il bisogno di uscire da questo limbo per renderci più sincroni col mondo, per entrare in un modello «standard», i disagi e la disorganizzazione ci rendono la vita più difficile. E allora, forse, tanto vale tornare in una disorganizzazione che ci è più connaturata; quella italiana.

In ogni caso, in Irlanda c’è mediamente un buon concetto degli italiani; in particolare, forse, sono le irlandesi ad avere un buon concetto degli italiani; a tal punto che i flirt sono una delle ragioni per cui si può venire a stare qui per un po’. Mai come emigrato, certamente; come commensale al ristorante.

Sull’identità del Paese dove siamo venuti a stare per un po’, poi, resta da capire come mai noi italiani siamo così romantici da attribuire agli irlandesi un tale tasso di fierezza e di indipendentismo anticoloniale da pensarli rudemente antibritannici. Finisce che a volte noi italiani siamo più feriti di loro, per la dominazione britannica!

Fatta la tara di qualche post un po’ ruvido e di qualche tono ostile e sentenzioso, a me sembra che la trentina di interventi che ci sono qui si possa più o meno sintetizzare con le frasi che ho scritto qui sopra come se fossero frammenti del discorso di una sola voce, cercando di rispettare, pur nella necessità di «assimilazione», la diversità degli interventi e delle posizioni. Che non mi è sembrata così irriducibile come i toni di alcuni interventi lascerebbero pensare.
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