Eden, di Eugene O'Brien
Dal 22 al 26 giugno, Piccola Corte, ingresso libero.
Week-end in una cittadina irlandese: birra, alcool, sesso e sogni impossibili di felicità o di riscatto esistenziale. Tutto viene raccontato attraverso i monologhi incrociati di due trentenni. Billy e Brenda sono marito e moglie. Si sono incontrati in una sala da ballo, si sono amati e hanno avuto due figlie. Poi lei è precipitata nella bulimia, dalla quale è appena uscita dopo una intensa cura dimagrante. E' la fine di una settimana che s'immagina piena di frustrazioni. Ora lui sogna di conquistare la bella Imelda, soprattutto per dimostrare agli amici, e a se stesso, di non essere un fallito; mentre lei, che torna dopo tanto tempo ai riti del sabato sera, vagheggia la speranza di rivivere con il marito il bel tempo passato. Attraverso i monologhi dei due protagonisti, Eugene O'Brien dà realtà teatrale non solo ai sentimenti e alle psicologie individuali, ma anche agli ambienti e a numerosi personaggi. I pub avvolti di fumo e di musica frastornante, la gelosia di Billy per i successi di Tony, detto "l'uomo col flauto dorato", le amiche di Brenda e le passioni di Evonne, la malinconica solitudine del venditore di tappeti erbosi. Quotidianità cruda e ricca di variazioni narrativa, con sorpresa finale; ma anche teatralissima metafora di una universale condizione etica e sociale.
Il tenente di Inishmore
Dal 26 marzo all'8 aprile, Teatro Stabile di Genova
Martin McDonagh è diventato ormai un autore di casa al Teatro Stabile di Genova, che lo ha scoperto con La bella regina di Leenane e Lo storpio di Inishmaan e propone oggi, ancora una volta come novità assoluta per l’Italia e pochi mesi dopo il debutto londinese, la sua ultima commedia, nella quale il comico e il tragico, la violenza e il riso, il dramma della storia e i suoi risvolti più farseschi si mescolano continuamente nel più libero gioco del teatro. Padraic, giovane e temutissimo terrorista nord-irlandese, ama il suo gatto più della vita stessa, più di suo padre e dei suoi amici d’infanzia. Ne consegue che, quando la povera bestia perde la vita in un imprevedibile incidente ciclistico, il terrore si diffonde nel villaggio e il presunto colpevole fa disperatamente di tutto per occultare il cadavere dell’animale, mentre il terribile Padraic esce dalla clandestinità con propositi di strage. Ciò che ne consegue, in un’atmosfera d’amore e di morte, è cosa da non rivelarsi allo spettatore, il quale potrà gustare al meglio solo sul palcoscenico il fuoco di fila dei colpi di scena e le straordinarie variazioni di linguaggio di un autore che sa tradurre immediatamente in teatro la vita osservata in presa diretta. C’è qualcosa di folle e d’inquietante insieme in questa liberissima lettura del dramma della guerra civile nord-irlandese e nella carrellata sui suoi imprevedibili protagonisti, tratteggiati con i toni di una tradizione cui appartiene anche John Ford e lanciati all’interno di situazioni la cui diffusa demenzialità ha indotto qualcuno a citare i Monty Python. Seconda tappa della trilogia dedicata da McDonagh alla isole di Aran (dopo Inishmaan e Inishmore, sta per debuttare a Londra The Banshees of Inisheer), questa moderna e personalissima “Black Comedy” viene proposta nella traduzione appositamente commissionata a Fausto Paravidino, giovane drammaturgo sulla cresta del successo, e con l’interpretazione di una compagnia d’attori appartenenti a diverse generazioni, ma tutti molto cari al Teatro Stabile di Genova. Come già in Lo storpio di Inishmaan, la messa in scena è firmata da Marco Sciaccaluga.
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