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Storie d'amore tra italiani e irlandesi

Ultimo Aggiornamento: 30/04/2007 00:22
14/05/2006 23:08
 
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TEACH EOIN
il racconto che segue è tratto dagli appunti di viaggio del giugno 2005. Alla fine di quel mese, ero in Irlanda per un giro in bici della penisola di Dingle. Ho scritto questa breve pagina di diario per una ragazza, Chiara, incontrata durante gli esami del luglio seguente; una ragazza speciale a cui tutt'ora voglio molto bene. Forse sono OT perché ciò che scrivo non parla d'amore; ma ciò che conta è che di Chiara, io, mentre scrivevo quella e-mail, ero proprio innamorato. Scrivevo per lei con l'unico intento di regalarle un po' del mio mondo, e la speranza che, un giorno, sarebbe stato anche il suo.

TEACH EOIN (gelico. chak oen, la casa di Giovanni)

Il giorno in cui misi piede per la prima volta a Teach Eoin, fui subito di casa. Frate James mi diede una stanza al secondo piano, mi mostrò il bagno e mi insegnò come funzionava il bollitore del thé in cucina. Mi ripromisi di ripagare la sua estrema gentilezza preparando il thè per entrambi quella notte stessa. Non dev'essere facile a più di ottant'anni starsene da soli in quella minuscola casa di Trà lì (Tralee), sulla costa atlantica dell'Irlanda. Così pensai che comportarmi da nipote in quei giorni di esilio volontario, gli avrebbe fatto solo piacere. Ma non ne ebbi l'occasione. Frate James, da buon irlandese si è sempre preso gioco di ciò che lo spaventava e così fa lo stesso con la sua età. Innarestabile, impegnato, attento a tutto. Quel'uomo non aveva bisogno di nulla. Portava i suoi anni con la dignità di chi un tempo era stato importante e non se n'era affezionato. Non riuscii mai in quei pochi giorni di convivenza a preparare il thé prima che lo facesse lui. Mi diede del thè, mi diede una stanza e un bagno, ma più di tutto mi diede la possibilità di riprendere le forze e tornare a casa pronto a lottare per la mia felicità.

AnneMarie è una ragazza bellissima. Ha 28 anni, è irlandese ed è medaglia d'argento olimpica di nuoto. Ma non se lo ricorda bene. AnneMarie ha la voce insicura e timorosa di chi ha paura. Non parla AnneMarie, sussurra, con la booca e con quei due grandi occhi dolci che ti attraversano. Pupille che fissano qualcosa al di là della tazza di thè che ci divide, al di là di me, al di là del muro. Gli occhi di AnneMarie guardano qualcosa al di là di tutto. Non sa dov'è l'Italia ma sa che c'è. Non sa cosa è l'università e nemmeno la filosfia ma domanda interessata, annuendo piano piano a colpi di mento. Si raccoglie dietro l'orecchio i capelli mossi da quei cenni d'assenso. AnneMarie sa preparare il thé, sa stirare e lavare i piatti. AnneMarie monta pezzi per le macchine agricole in un'azienda circondata dall'immenso verde irlandese. Ma AnneMarie non sa scrivere il mio nome e nemmeno il suo. Mi chiede ad ogni pausa se voglio dell'altro thé. Si è già dimenticata che il bollitore è esploso nemmeno mezz'ora prima. Un cortocircuito improvviso. Cose che capitano. Quand'è successo ha chiamato in lacrime frate James, spaventatissima. Siamo accorsi da lei in pochi minuti, in quell'appartamento tutto suo, dove sta tentando di essere normale. Ma AnneMarie non sarà mai normale. L'abbiamo trovata rannicchiata su se stessa in un angolo della casa che singhizzava e si proteggeva i capelli biondissimi da chissà cosa. AnneMarie ha visto cose che noi non vediamo, sentito voci che non sentiamo, pianto lacrime che nessuno, nemmeno i suoi genitori, hanno capito. E così mentre davanti ai suoi bellissimi occhi verdi passavano immagini terrificanti a cui noi mai daremo forma, e nelle sue orecchie sottili si rincorrevano urla e gridi spaventosi, AnneMarie diventava grande in un centro per learning-disabilities, ovvero quelli che noi chiamiamo impietosamente ritardati mentali. Penso ad AnneMarie mentro fumo quella sigaretta sulla soglia di Teach Eoin, penso alla medaglia d'argento agli 'special olimpics' che nemmeno ricorda. Penso che nessuno mai le darà un bacio su quelle labbra morbide, nessuno mai la stringerà a se per farla sentire protetta per sempre. Penso ai suoi occhi così belli, colorati di terrore. Un colore che probabilmente non svanirà mai, come la condanna che sta subendo per una colpa mai commessa.

Per fortuna Patrick si accorge di me, urla il mio nome 'Sean' e inizia a correre inseguito da tutti i suoi amichetti. In un attimo sono circondato da mocciosi irlandesi. Il piccolo cortile di Teach Eoin è un formicolio di saltelli con la corda, bicilette con le rotelle e palle, palline, palloni che rimbalzano a caso. 'What's your name?' mi chiede Patrick. 'Didn't I tell it yesterday Patrick?' lo rimprovero scherzando. 'I'm 5, how age are you?' 'Paddy, I told you yesterday isn't it?" gli rispondo. Patrick vuol fare vedere ai suoi amichetti che sa fare conversazione con questo 'grande' che viene da chissà dove. E insiste, insiste insiste. Così gli ripeto che mi chiamo Sean, sono Italiano e ho 25 anni. Il giorno prima ho tentato di spiegargli che mi chiamo Andrea, ma nulla, non capiva come mai avessi il nome di una femmina. Allora gli ho detto Giovanni, d'altronde dormivo nella casa di Giovanni, più logico di così. Niente da fare, troppo lungo; nome mai sentito nei suoi vivaci 5 anni di vita. E allora ho tradotto Giovanni in gaelico. Il nome più comune d'irlanda: Sean.
E mentre ripeto tutto questo sembra che lì in quel cortile freddo qualcuno abbia schiacciato il tasto pausa, e il mondo si sia fermato. Ho 20 occhioni che mi guardano curiosi e che inziano ad accavallare domande una dietro l'altra. Le bimbe si fanno belle dei loro anni; la piccola Sara addirittura mi fa vedere che ha imparato ad andare in bici senza rotelle. Lisa, gelosa, saltella e conta a caso fino a quando è stremata. Poi tutto tace un attimo e io mi chiedo che è successo. Mi guardo un po' attorno, poi mi accorgo che una sferzata di vento proveniente da quel cielo di piombo ha scoperto la borsina della spesa contenente una confezione di biscotti al cioccolato. L'avevo comprata poco prima, al ritorno dal giro in bici. Infatti, su quella soglia a Teach Eoin, ci sono arrivato stremato dopo 50 km di biciletta sotto l'acuqa. E così inizio a distribuire biscotti a tutti. Un giro, poi il secondo. Al terzo dico di no, ma i bimbi mi implorano e allora finisco il tubo di biscotti. Per fortuna arriva James a salvarmi. Ha le chiavi che io non ho e mi apre la porta. Terminata la doccia esco a fumare. I bimbi ritornano alla carica. Ancora biscotti, ma non ne ho più. 'Please Sean!' piagnucolano. 'You are biscuit man'. Ho sempre voluto essere a mio modo un super eroe, ma l'uomo-biscotto non lo trovo molto edificante. Alla fine vado al negozietto di là dalla strada, compro una confezione mini e dò altri biscotti ai miei piccoli fan. La sera saluto James. Maledizione, è riuscito ancora a fare il thè prima di me. Terminano le sorsate, rimango nel silenzio di penombra della cucina a lavare le tazze. James sale le scale di legno senza malinconia, sa che mi rivedrà presto. Quando il mattino dopo ci salutiamo alla stazione dei bus di Trà Lì, in mezzo ad una bufera di pioggia, James mi abbraccia, mi sistema la coppola irlandese e dopo un tenero sorriso mi dice 'see you biscuit man'. Ma si sbaglia, il super eroe, non sono io. E' lui che mi ha salvato.

10 giorni dopo ti ho incontrata.
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