Un articolo di Beppe Severgnini che commenta il pezzo del NYT.
Fonte:
Corriere.it
L'innegabile inverno dello scontento
Altro che arrabbiarci, o dar retta al coro delle vestali offese: dovremmo apprezzare, invece, il bel titolo shakespeariano («In Italy, a Winter of Discontent »). Questo è davvero l'inverno del nostro scontento. Altri ce ne sono stati; altri — se non cambiamo — seguiranno. Scrive il New York Times in un lungo servizio da Roma, scritto dal corrispondente Ian Fisher: «L'uso di Internet, i salari, la crescita economica e gli investimenti esteri sono i più bassi d'Europa (l'Italia riceve un terzo degli investimenti Usa della Spagna, ndr). Pensioni, debito pubblico e costo dell' amministrazione sono i più alti». E' vero o non è vero? E' vero, purtroppo.
La reattività, la bellezza e la fantasia dell'Italia non bastano più a compensare carenze ormai croniche. Certo, per ricordarlo la giornata non è delle migliori: il presidente Napolitano in visita a New York, Prodi e D'Alema a Lisbona per firmare il trattato Ue. A questa grandinata di cattive notizie consolidate — il New York Times ricorda che, dopo cinque anni di governo Berlusconi, la crescita era zero — se ne aggiungono altre, che noi conosciamo, e nell'articolo non sono entrate: dal blocco dei Tir all'agonia di Alitalia, dalla carenza di infrastrutture alla lentezza angosciosa della giustizia (pensate a una corporation americana in Italia che si sente dire: «Una causa civile? Otto anni»). Cose che sappiamo, le cui conseguenze sono note. A questo punto la domanda cambia. Non più «E' l'inverno del nostro scontento?», ma «E' giusto che gli stranieri lo ricordino?». I nazionalisti da strapazzo — quelli che parlano di patria, ma pensano alla pancia — sostengono che no, i media di altri Paesi non hanno il diritto di giudicare (perché non sanno le cose; o, se le sanno, perché non sta bene).
Sciocchezze. Anche noi siamo stati, siamo e saremo severi verso gli Stati Uniti (dal disastro iracheno alla follia delle armi domestiche, dalla vita indebitata alla qualità dei candidati presidenziali). Nessun giornale o televisione americana ci ha mai detto: non potete! Quindi, quando vediamo un ritratto dell'Italia che non ci piace, domandiamoci soltanto questo: come migliorarlo? Certe analisi non sono il problema, ma la sua rappresentazione. Sono lo specchio alzato verso la faccia. Se ciò che vediamo non è bello, la colpa non è della mano che regge lo specchio. E' del proprietario della faccia.