C’è un aspetto – come dire? – tecnico, che ha a che vedere con le difficoltà burocratiche, con le complicazioni della vita, con le curve e le salite che bisogna affrontare quando si cerca di fare qualcosa, qualunque cosa.
E c’è un aspetto che si potrebbe definire politico, o culturale, che riguarda la progressiva deprivazione dei diritti, di qualunque diritto. A tal punto che spesso tentare di affermare un proprio diritto è un’operazione che presenta difficoltà così enormi da spingerci a rinunciare in partenza.
Ero per caso a Milano, qualche tempo fa. Nella stazione della metropolitana c’erano molti cartelloni che pubblicizzavano una qualche catena locale di negozi di elettronica nei quali si potevano acquistare tv, stereo, lavatrici e frigoriferi (ma perlopiù tv, possibilmente giganti e sottili: lo so, si chiamano al plasma) a prezzi bassi, o con cospicue agevolazioni. Lo slogan era questo: “Vieni da Piripini (tipo il cognome dei padroni), noi siamo quelli dei diritti”.
Ecco. L’Italia è diventata un Paese nel quale, in termini generali, i diritti li devi acquistare. Non c’è più un vero diritto: c’è solo se te lo puoi comprare. E poi: in questo caso l’assurdo era ancora più evidente, perché questa catena di negozi era perfino riuscita a propagandare come un riconoscimento di una qualche sorta di diritto la possibilità di acquistare un tv color.
E ancora. Sotto casa mia c’è una pizzeria che sta chiusa di lunedì per riposo settimanale. Un lunedì di quest’inverno, alle sei di mattina, sono stata svegliata, e come me i miei, dal rumore fortissimo di trapani e martelli. Mi sono affacciata alla finestra e ho visto davanti alla pizzeria il furgoncino di una ditta di cucine. La pizzeria sotto casa mia stava cambiando la cucina, insomma.
Siccome mi risultava che i lavori rumorosi non potesser essere avviati prima di una certa ora di mattina, ho telefonato ai vigili per segnalare la circostanza. I vigili mi hanno detto che sì, i rumori si possono fare a partire dalle 7.30, e che quindi sarebbero intervenuti.
Bene. Non è intervenuto nessuno. Ma non per semplice negligenza, il che sarebbe stato anche un tratto perfino comprensibile.
Come mi ha più tardi spiegato la vicina di casa, i vigili hanno semplicemente telefonato alla pizzeria, in perfetto stile “una mano lava l’altra”, dicendo al proprietario del locale che c’erano state proteste.
I lavori sono andati avanti in beata tranquillità, quella mattina. Del resto, il proprietario della pizzeria avrà pensato che se faceva i lavori in una sola giornata (il lunedì, giorno di chiusura della pizzeria) avrebbe evitato di perdere clienti il giorno dopo, quando – se avesse cominciato più tardi il lunedì mattina - sarebbe stato eventualmente costretto a tener chiuso per completare la sistemazione della cucina.
E poi mi è venuto in mente che, essendo questa pizzeria vicina al municipio e al comando dei vigili, mille e mille volte ho visto l’auto dei vigili, appunto, posteggiata sul marciapiede per il tempo necessario a che gli agenti si facessero offrire – immagino, ma va detto che è un’illazione – un caffè se non una pizzettina. Mi è stato tutto chiaro. Perfino che i lavoratori dell'aziendina che installa cucine avevano accettato di lavorare all'alba.
E poi mi viene in mente l’infinito repertorio delle assurdità che vengono quotidianamente inflitte sui luoghi di lavoro; l’idea – anche qui – che una mano lava l’altra e non ci sia mai nessuna prescrizione formale che meriti di essere rispettata ipso facto, per il semplice fatto di esistere; e il fatto che chiunque ne rivendichi il rispetto viene preso per uno sciocco formalista che vuol solo creare fastidi all’organizzazione; e a volte, anche per un comunista di merda, comunque. O uno sindacalizzato, il che - ora che l'unica logica socialmente accettata è quella dei padroni (stanno bene loro, stai bene tu, ti dicono) - è diventato un insulto.
Mi viene in mente l’enorme quantità di servi sciocchi che affollano le organizzazioni di lavoro; gente per la quale la sopravvivenza delle organizzazioni viene prima di qualcunque altro bene teoricamente tutelabile, compresa la loro stessa salute. Capi che sono i carnefici della tua - e della loro - qualità della vita perché in barba a qualunque legge devono lavorare di più, e di più, e di più, perché sperano che i loro capi – e i padroni, ovviamente – li premino, un giorno, con cento euro in più al mese di modo che loro possano pagare il mutuo un po’ meno dolorosamente.
E c’è molto di più, in realtà.
C’è che alla senatrice Levi Montalcini viene detto che il suo profilo è brutto, perché è ebrea.
C’è che chiunque critichi le leggi che hanno istituzionalizzato il precariato è un terrorista, per questo Paese.
C’è che – come scrive una dipendente della Vodafone, che, lei con altri colleghi, sta per essere ceduta insieme al ramo d’azienda a un altro marchio – “loro hanno silenziosamente toccato il fondo della spudoratezza e noi dobbiamo anche stare attenti a dirlo. Loro agiscono senza conseguenze; e se noi diciamo cosa loro fanno siamo punibili legalmente”.
No. Sebastian Cresswell-Turner sarà anche un inglese con la puzza sotto il naso, conservatore e sciovinista.
E negli altri Paesi ci saranno anche un sacco di altri problemi.
Però il Telegraph ha ragione: rimanere in Italia è sempre più difficile, procura sempre maggior dolore, e spavento, anche. Soprattutto per chi ha figli.
Federica