00 15/12/2006 21:42
A volte il silenzio parla, talvolta grida disperato e addirittura ferisce. Ma in qualche caso il silenzio è semplicemente pensare, meditare forse.

Meditare e bere tranquillamente il te nell'irreale silenzio della casa. Tranquillo mi sperdo, o ci sperdiamo in questi pensieri. Forse con Nora domani torneremo in giro per l'isola e poi ancora nel pub per farci osservare dai nativi come dai noi si va allo zoo per vedere le scimmie. Ma da che parte della gabbia saremo?
Rimanemmo così fermi a guardare ed a guardarci per una mezz'ora. In un'altra occasione sarebbe stato noioso osservare un temporale. Ma chiusi in quella specie di astronave spersa ai margini dell'oceano che in quel momento era il nostro B&B, non potevamo fare altro. Ma lo spettacolo che fuori si continuava a rappresentare, era troppo imponente nella sua violenza per poterlo tralasciare. Invece che commentarlo, preferivamo guardarci negli occhi di tanto in tanto per scambiarci quei sorrisi, e quei piccoli cenni d'intesa che tanto ci rassicuravano. In realtà, questo era tutto quello che in quel momento tutti e due volevamo. Quando finimmo le nostre tazze di te fu Nora che decise di rompere il silenzio.
- Che facciamo ora? Continuiamo a seguire il Film " Tempesta su Clare Island"? O coraggiosamente entriamo sul set, vale a dire ci infiliamo nel pub per vedere come i nativi reagiscono ad una tempesta del genere, sempre che riusciamo ad arrivare lì?
- Non so, ma mi sembra che arrivare al pub sarà difficile, o al limite rischioso con questo vento. Poi lì fuori non si vede anima viva -
- E allora passeremo tutta la serata qui in salotto. Magari ce ne andiamo di fronte al televisore per gustarci anche noi una bella puntata di soap opera? Disse ironica.
- E cosa altro vuoi fare? Magari andare prima dal Mc Donalds dietro l'angolo di casa a mangiare un Cheeseburger e patatine e poi al teatro?
- Non lo so. Forse preferirei una bella pizza e quattro salti in qualche discoteca - Disse, questa volta ridendo.
In quel mentre entrò nella sala il padrone di casa.
- Scusate se mi intrometto nei vostri discorsi, ma un suggerimento per voi io lo avrei. Aspettate una mezz'ora e potrete mangiare con noi, per questa sera siete nostri ospiti, sempre che la nostra cucina sia di vostro gradimento.
Immediatamente con Nora scambiamo uno sguardo d'assenso e rispondemmo di si all'offerta.

Il veleno della mia adolescenza. Non so se ne sono guarito. Posseggo e uso ancora i doni più anelati. Ma la sera quando spengo il lume per consegnarmi alle tenebre, spesso mi accorgo che sulla lavagna non ho scritto nulla.

Finalmente a tavola dunque. Per tutta la giornata il pensiero del cibo non mi aveva neanche minimamente sfiorato, e complice la grossa colazione del mattino, il mio stomaco si era messo temporaneamente a riposo.
Staccata la spina che lo metteva in comunicazione con il cervello, aveva cessato di mandare impulsi d'appetito. Forse la mia materia grigia, troppo impegnata in quel diluvio di stimolazioni che mi aveva colpito, aveva deciso che le richieste di alimenti potevano anche passare in secondo piano. Tutte le energie erano canalizzate per recepire quanto più potevo di quel che mi stava accadendo. La vita normalmente va al passo, monotona o prevedibile che sia. Ma talvolta e senza preavviso accelera, anzi corre al galoppo. E quel giorno il ritmo era da maratona. Intanto il maltempo sembrava essersi sfogato. Come lacerata in mille pezzi da una immensa sciabola, la cappa di nubi nere lasciava ora trasparire fra un ritaglio e l'altro la visione di una stella, che tremante lume della notte annunciava la fine delle ostilità. Un ultimo tuono, ma dal rombo moderato, come quello del ringhiare di un cane stanco, si udì prima di perdersi a largo, dove il mare e il cielo si fanno tenebra.
La cena non fu nulla di memorabile: nessun piatto superava la sufficienza. Nemmeno il coniglio selvatico in salsa di mele, che già avevo gustato in altre parti d'Irlanda sembrava aver sapore. Solo la fame, e il maltempo potevano farci accettare (a denti stretti) la cucina dei nostri temporanei padroni di casa. Tutto il tempo trascorso a tavola, sfilò via veloce e senza lasciar traccia nei nostri pensieri, così come scorrono veloci le chiacchiere morte che, si fanno a tavola con gli avventori sconosciuti, per esorcizzare il disagio.
Il maltempo continuava ad imperversare sull'isola, e noi pavidi astronauti incapsulati nella nostra casa-navicella ai margini dell'oceano, continuavamo a seguire lo spettacolo della natura infuriata dalla finestra, come fosse una qualsiasi partita di calcio in televisione. Forse captato il qualcosa che stava succedendo tra me e Nora, subito dopo la fine della cena, i padroni di casa si ritirarono diplomaticamente in cucina, dandoci la buonanotte. Così ci ritrovammo di nuovo soli nella sala ad "ammirare" il vento e la pioggia che non accennavano a placarsi.
- Sediamoci sul divano vicino al caminetto, da lì si vede quel che succede fuori, ti va? - disse Nora sorridendomi.
- Certo che mi va -
Così tutti e due andammo ad accomodarci sul sofà per assistere al seguito del grande spettacolo, che Giove pluvio, o chi per lui, aveva deciso di offrirci come punizione per il nostro ardire nel visitare l'isola in inverno.
Lampi, tuoni. Squarci di luce brillante nel buio. Luce che pareva inghiottire ogni cosa, per poi ripiombare nelle tenebre. Il mare: scuro, mosso e schiumoso che tenta di inghiottire la terra. Abissale nella sua vanità di sottomettere l'isola. Perfido e mascalzone nello schiaffeggiarla senza tregua.
- Ho voglia di rilassarmi. Ti andrebbe di coccolarmi? - mi disse Nora con la faccia seria.
Una smorfia di sorpresa si stampò sul mio volto.
Cosa intendi tu per coccole? - Fu la mia risposta.
- Coccole! Tenerezze, carezze, tenermi la mano.... su, non fare lo stupido, non avrai forse paura di farmi una carezza. Non ti ho mica chiesto di fare un figlio insieme. Forse non ti piacciono le coccole? Oppure dobbiamo ancora continuare ancora con la telecronaca?
Non risposi. Tentai di abbozzare un sorriso. La cosa mi lasciava perplesso. Non mi riusciva di comprendere fino a dove Nora voleva spingersi. Ormai eravamo arrivati alla nostra fermata. Ma nonostante fossi consapevole di quello che stava accadendo, quella richiesta così diretta, ingenua, in qualche modo mi stupì. Sapevo che i giochi erano fatti, e non potevo tirarmi indietro. Ma inconsciamente, ne avevo un'inutile paura. Ma per non tradire ancora il nostro patto di abolire il pensiero le chiesi:
- Ma ne sei proprio sicura?
- Stupido. Non ho voglia di carezze. Ho voglia delle tue carezze. - Disse lei calcando le sillabe, come a sottolineare il pensiero.
- E invece stai a chiederti che voglio e doveandiamo. Ho solo voglia che mi stia vicino. Hai forse paura di questo?
Ed ora eccomela davanti. Oggetto di desiderio agognato, ma non richiesto, almeno così presto. Una cascata di capelli, un'anima di una dolcezza insperata o quasi. Nora, vicino a me, tutta presa nell'impresa inutile di raccontare in silenzio un qualcosa che vuole a tutti i costi somigliare ad una passione. Il racconto di un qualcosa d'impalpabile, fatto dal suo sorriso. Un qualcosa che scoppia inatteso, non cercato, ma meravigliosamente subito da entrambi. Tutte le passioni sono incomprensibili, futili, meravigliose e un pò strambe.
Eppure con il senno di poi, sono proprio le passioni "strambe", quelle più spirituali.
Nora, persa fra le mie braccia. Con il sorriso accennato, e gli occhi timidi da cerbiatta in fuga. Abbracciandomi, scuoteva felice i riccioli biondi, più grandi del suo viso. Le mie mani, parevano perdersi nel gran bosco dei suoi capelli. Scivolando sulle pieghe del divano, si accoccolò vicino a me, stringendomi una mano, con la testa persa fra le mie braccia.
- perché proprio ora? - le chiesi.
- Carpe diem, cogli l'attimo - mi rispose, stringendomi la mano.
Mi bastava.
Nel preciso istante che vincendo la mia ritrosia, la cinsi delicatamente con il mio braccio, mi colpì la sua mescolanza d'ingenuità e candore nel lasciarsi andare. Era un qualcosa di ancor più sincero, ma molto di più, dell'assurdo gioco che stavamo conducendo. Il suo lasciarsi, era diverso dal semplice giocare un sentimento a carte scoperte.
In quel momento Nora mi pareva essere la donna più bella mai vista. Ogni parte del suo viso mi sembrava così esatta da farmi dubitare che la natura, e non un abile chirurgo potesse aver fatto un simile lavoro. Anche il suo profilo, che fino a poco prima mi era sembrato un poco aguzzo, ora mi sembrava meraviglioso. Finanche le piccole grinze a lato degli occhi che sfumavano minute fin verso l'attacco dei capelli, mi piacevano.
Intanto fuori il padreterno o chi per lui, sfogava la sua ira, bersagliando l'isola con un'altra abbondante razione di tuoni e fulmini. Invece noi, naufraghi nostro malgrado, nella nostra zattera eravamo felici di seguire le schermaglie dei fulmini con l'acqua, del vento contro la terra, degli elementi l'uno contro l'altro armati. Comodamente accoccolati su di un divano, a scambiarci tenerezze.
Coccolarla come una bambina. Una bambina che impaurita dai tuoni, corre fra le braccia della mamma. Intanto parlavamo, parlavamo di noi, delle nostre esperienze, delle nostre speranze. Forse tutte le chiacchiere che avevamo fatto da quando ci eravamo conosciuti, non ci erano abbastanza. Volevamo sapere di più. Troppo veloce era stato quel che ci era capitato per potercene rendere conto. Forse inconsapevolmente cercavamo una ragione per comprendere, se mai c'era... O forse semplicemente, avevamo molte cose da dirci.
Nora. Ancora fra le mie braccia, in silenzio. Potevo finalmente guardarla, odorarla, toccarla, abbracciarla, stringerla a me. Quell'oggetto d'inaspettato desiderio, che tanto mi aveva sconvolto era lì, nelle mie braccia.
Anche lei mi abbracciava e mi coccolava, certo. Ma mi sembrava che le sue carezze, fossero come quelle di un bambino che carezza la mamma solo quel poco che basta per farla contenta e per non farla andare. Così anche Nora sembrava che mi coccolasse quel quanto bastava, per non farmi andar via.
Certo, mi carezzava e mi stringeva dolcemente la mano, calcando di tanto in tanto la stretta come per assicurarmi che lei era sempre là. Ma per me, improvvisamente avido di dolcezza, non era abbastanza. Avevo l'impressione, che forse per pigrizia o forse per gioco, preferisse esser lei ad esser coccolata.
Il caminetto, di fianco al nostro divano, ardeva allegro, col suo bel focherello di torba tanto bello a vedere, ma avaro in realtà di calore. Nel frattempo Giove pluvio, forse innervosito dal disinteresse dei più per i suoi sforzi, continuava con il suo ciclone. Noi eravamo ancora lì, per nulla spaventati dall'ira degli elementi della natura. Anzi, in qualche modo dovevamo qualcosa a tutto quel putiferio. E così ringraziavamo quasi l'onnipotente, per il suo malumore, che ci aveva costretto ad incontrarci alla periferia del mondo.
Erano oramai passate un paio d'ore e continuavamo ancora con le chiacchiere e le coccole. Sembrava quasi che le cose che volevamo dirci e le carezze che volevamo darci, non finissero mai. Avevamo scoperto d'aver avuto entrambi in qualche modo avuto più vite in qualche modo parallele. Vite lontane, remote e sconosciute l'un l'altra fino a quel momento. Sembrava che noi non avessimo vissuto altro che nell'inconscia attesa di incontrarci, per poi raccontarci tutto di noi, senza remore e senza tabù.
Così quando Nora s'addormentò, non me ne accorsi. Perso nel mio entusiasmo, d'averla finalmente trovata, continuavo a parlarle, a raccontarle felice le mie favole di vite vissute. Ma quando i suoi occhi chiusi mi insospettirono, mi chinai su di lei, e udii il filo del suo respiro sulle labbra semiaperte. Mi si era addormentata dolcemente in braccio, stringendomi la mano, e il mio ventre era il suo improvvisato cuscino. Fu in quell'attimo, che guardandola, mi accorsi che avevo conformato il mio respiro al suo, come un soldato in parata, conforma il suo passo al ritmo della banda. Mi venne da ridere; lei, che aveva fatto di tutto ed era sopravvissuta a tante avventure. Lei che era sopravvissuta da sola nel deserto australiano per una settimana, si era addormentata nelle mie braccia come una bambina.
La notte è lunga. Guardo le gocce d'acqua che rapide scorrono giù per il vetro. Non cadono dritte, ma sembrano formiche, che persa la strada di casa, vagano senza meta, aspettando invano il segnale di qualcuna di loro, più coraggiosa nel provare altri percorsi. Come quel momento non somigliava al passato! Come quel momento mi sembrava un sogno. Un sogno così reale, fino al punto di farmi credere d'essere proprio in un sogno, e che al prossimo tuono, mi sarei svegliato nel mio letto con un pugno di mosche in mano.
Pensavo.... in fondo ci ho guadagnato un intermezzo. Adesso passerò tutta la notte con lei... Ma è fin troppo evidente! Quella barca, quella tazza di te, l'isola....era tutto premeditato. Solo che sono stanco di pormi domande, di rifugiarmi nel passato, di allineare i fatti come fossero soldatini di piombo al mio servizio. Perso nei miei pensieri, posavo gli occhi su di lei. Solo allora mi accorsi che era bellissimo poterla osservare, senza il timore (il piacere forse?) di incrociare il suo sguardo, e di doverle dimostrare la mia felicità con gli occhi. L'elegante magnificenza di un altro essere umano.

La felicità dunque. Che fosse così semplice? Ma cosa importa se non è la stessa che sognavo, agognavo, volevo che fosse. Ma che significa ha tutto questo, se non si sogna?

Di soppiatto o quasi, la guardavo respirare. Osservavo furtivo le palpebre dolcemente chiuse, immaginando i suoi sogni. Vagavo con gli occhi fra i bei capelli persi tra le mie gambe e il poggiolo del divano. Ora che mi si era addormentata fra le braccia, non sapevo bene cosa fare. Svegliarla, per poi portarla nel suo letto a dormire? O continuare a cullarla fra le mie braccia? Da egoista ingordo d'affetto, scelsi la seconda ipotesi. Anche se probabilmente mi si prospettava una lunga notte di veglia, ritenendomi, per esperienza, incapace di dormire fuori da un letto, di qualsiasi specie esso sia. Ma il cullarla fra le braccia, era un qualcosa di troppo bello, per poterlo barattare con una notte di sonno. In cuor mio speravo che non si svegliasse. Volevo trascorrere tutta la notte con lei. Intanto continuava a dormire, dolcemente, con un'espressione da bimba felice, tenendomi stretta la mano. E io, per paura che qualche movimento potessi svegliarla, me ne rimanevo lì, immobile a guardarla.
Intanto il povero fuoco di torba, s'andava lentamente esaurendo. Povera torba! Combustibile povero per gente povera. Fiamma senza grande gloria. Terra che brucia. Terra che vuole imitare il carbone. Una fiammata, un pò di calore, molta luce ed è tutto finito. Era circa mezzanotte, e nella sala la temperatura stava scendendo. Quand'ecco che un'ombra furtiva spunta alle mie spalle: era il padrone di casa. In punta di piedi, quatto quatto come un gatto, armato di un'enorme busta con dentro i blocchetti di torba, si avvicina in silenzio al caminetto ormai quasi spento. Facendomi con il dito dinanzi al naso il gesto di restare in silenzio, inizia a ravvivare il fuoco e a sistemare con abilità un gran braciere. Poi sorridendomi mi sussurra nell'orecchio: basterà a tenervi al caldo per tutta la notte. Stai tranquillo, potete restare pure qui, e buona notte. Così in punta di piedi, com'era arrivato, si dileguò. Avevo anche trovato un'insperato alleato.
Non ricordo bene cosa poi ne fu di noi, e del caminetto, ma ad un certo punto, finalmente, il sonno mi sorprese.
Apro gli occhi. La luce grigia del primo mattino inonda le mie pupille. Guardo in alto, e mi rendo conto di aver passato la notte in salotto. Stropicciandomi gli occhi, un'altra visione mi sorprende. Ero adesso io ad essere nelle braccia di Nora che ignara che io fossi sveglio, mi cullava come un bambino tenendomi una mano sui capelli. Per gioco o per malizia richiusi gli occhi. Ma Nora si accorse del mio risveglio e smise di cullarmi. Aprii ancora gli occhi, e vidi il suo sorriso sopra la mia testa. Poi, avvicinando dolcemente la sua testa al mio viso, mi baciò sulla fronte.
- Buongiorno - mi sussurrò nell'orecchio.
Non le risposi, ma continuai a guardarla. Ero ancora troppo scombussolato per l'insolito risveglio, e non mi riusciva ancora di capire cosa stava accadendo. Poi si chinò di nuovo su di me, e questa volta mi baciò sulle labbra.
Un bacio lieve, pulito, casto forse. Fu solo allora, nel sentire il caldo delle sue labbra sulle mie, e l'odore secco della sua pelle, che iniziai a comprendere quello che stava succedendo. Un istante. Un istante per un risveglio, che volava al mio fianco e che trascorreva lento. Solo allora, come colpito da un fulmine, iniziai a contraccambiare quel bacio. Mi sentivo come il ranocchio delle favole, ma indegno di tanta attenzione, perché mai mi sarei potuto tramutare in principe. Un bacio dolcissimo, lungo. Un bacio atteso, il primo bacio. Per tutta la sera ci eravamo scambiati tenerezze, ma nessuno dei due aveva baciato l'altro. Una voluta dimenticanza forse?
Il bacio, il bacio come sigillo di qualcosa. Invece noi, forse per timore, forse perché semplicemente non ci avevamo pensato, non ci eravamo ancora baciati.

A questo punto la storia può prendere varie strade. Tutte in qualche modo scontate. Semplice: l'isola vicino all'oceano, i due rinchiusi come naufraghi. Si piacciono e dopo un poco finiscono anche a letto. Magari ci scappa pure il bel bambinetto concepito fra le chiare e pescose (?) acque del mare del Nord (Un futuro Capitan Findus?). I due decidono di non ricorrere ai "fabbricanti d'Angeli", e si tengono il pupo, che come tutti quelli concepiti in situazioni insolite, ha due occhioni azzurri, un poco tristi. Lei (o lui) pianta tutto per raggiungere l'altro, e a dispetto di tutto vivono felici e contenti.
Oppure: con una scena degna del miglior Casablanca cinematografico, dopo una notte d'amore uno dei due parte, salutando in lacrime l'altro sulla banchina del porto per poi non rivedersi più. No, non è così. Troppo improbabile, scontato. Mio malcapitato lettore, perdonami ancora se ti tedio con le mie chiacchiere, ma forse vale la pena di seguire...


Nora vicino a me. Il risveglio più dolce che potevo immaginare. Guardai l'orologio, erano le sette e trenta. Alzandomi rattrappito per la notte passata sul divano, scrutai dalla finestra. A prima vista la tempesta non sembrava essersi placata. Rialzandomi vidi che Nora si era già cambiata d'abito. Ora indossava un pantalone di velluto verde a coste, e una maglia dolcevita molto aderente che metteva bene in evidenza le sue forme. Evidentemente durante il mio sonno, era andata su in camera sua a mettersi qualcosa di pulito, e che mi piacesse un poco di più dell'anonimo maglione che indossava fin dal primo momento che l'avevo vista
- Come ho dormito? - chiesi con voce assonnata.
- Come una pietra, anche se mi sembravi un'anima in pena. Ti giravi e rigiravi tanto. In un letto matrimoniale saresti infernale . Ma non ti svegliavi mai. Mi sa che dormire con te in un letto, non deve essere facile. Meglio il divano allora - mi disse ridendo.
- Tu invece mi sembravi una bimba. Tranquilla e quieta ti sei accoccolata vicino a me e sei caduta nel sonno. Beata te!
- Per me è facile dormire, dormo in ogni posto, anche per terra se necessario, ma questa volta ho dormito serena, distesa. E' stata la tua presenza.
Nonostante il tuo nervosismo nei gesti e nel parlare, e la tua smania di non rimanere inattivo, la tua presenza mi rilassa. Qualcosa in te, oltre l'apparenza dei gesti, oltre le parole, emana calma. E' strano: sei nervoso fuori e calmo dentro. Non riesci a stare fermo con le mani, giocherelli con ogni oggetto che ti capita a tiro, ma incredibilmente sei sempre a tuo agio con i tuoi pensieri; ti adegui ad ogni situazione. Non lo so spiegare, ma è come se per qualche misteriosa via, sono riuscita a collegarmi con i tuoi pensieri, ed a carpire la calma che hai dentro. Calma che vorrei rubarti un poco. Una calma che però fai poco per mostrare agli altri...
Non le risposi, ma questa volta fui io a prendere l'iniziativa, ed a baciarla. Questo bacio era diverso. Più lungo, più bello, più... Un bacio. Uno di quelli che esprimono tutto quello che non si è capaci di dire con le parole. Ma altro non ci serviva. Menzogna e amore, pigrizia e presunzione, passavano sopra impalpabili come nuvole. Mi studiavo, mi riflettevo negli occhi di Nora, e mi ritrovavo. Guardavo la mia faccia nella sua e mi ritrovavo...
- Lo sai che ci siamo dati solo due baci "seri", più uno di buongiorno.... - dissi tutto serio .
- Non contarli. Potevamo anche non darceli, e non sarebbe cambiato nulla. Non sono i baci il metro di quello che sento. Quello che ci sta accadendo, è qualcosa di troppo diverso perché possa misurare in baci. Troppo diverso da tutto. E' tutto maledettamente incredibile.
E' la trama di un film ... ma noi siamo qui in carne ed ossa...
E' vero, hai ragione, ma ti voglio vicino, e non mi chiedo più il perché. Forse solo baciandoti, riesco ad entrare un poco in te. Riesco a valicare quel che c'è dietro i tuoi occhi...
- E' un'allucinazione. Forse siamo entrambi vittime di un'allucinazione. Tutto questo che stiamo vivendo ha dell'incredibile. Ma non è assurdo perché ci siamo incontrati e piaciuti. No, non è questo. Prova ad immaginare quante coppie al mondo si sono formate da ieri ad oggi. In quante altre isole nel mondo, altri due esseri umani di passaggio hanno deciso di fare un pò di strada assieme.
Noi per le statistiche, ammesso che ce ne siano, siamo una di quelle. Magari tante di queste coppie, hanno anche deciso di rimanere insieme per sposarsi. No, noi siamo diversi. Non siamo una coppia. Non lo saremo mai. Stiamo dando tutto noi stessi all'altro. Abbiamo aperto tutte le nostre porte, abbiamo giocato tutte le nostre carte. Non ci resta che essere. Essere e basta. In due, però. Siamo più e meno di una coppia. Non siamo come gli altri, che forse ora si amano e domani faranno finta di sopportarsi, solo per il bene dei figli, o per indolente convenienza. E' che noi siamo la stessa persona, forse. Forse esagero, ma mi pare che sia così. Credo che tu sia il mio doppio. Ma non perché mi sei simile, tutt'altro. Sei tutto diverso da me, troppo diverso. Sei l'essere più lontano da me che potevo immaginare. Tra tanti al mondo, solo tu sei stato capace di comprendere su quale lunghezza d'onda viaggio. Anche tu, anche se diverso, viaggi sulla stessa mia onda. Certo, tra di noi vi è anche l'attrazione fisica, sarebbe inutile negarlo. Ma quello che ci chiama l'un l'altro è un feeling diverso. Non me lo so spiegare, ma so che tu pensi come me. E per favore non dirmi ancora che siamo in un film. Dei film, ne ho già piene le tasche.
- E cosa altro ti debbo dire.... mi basta quello che mi hai detto.
Avevo in qualche modo paura. Era come stare sotto l'effetto di una droga sconosciuta. Non capivo più nulla. Ero partito per rimanere qualche giorno sull'isola. Per starmene per un po con me stesso, e invece mi ritrovavo nel bel mezzo di due tempeste: una meteorologica, che mi affascinava, ma da cui sapevo che prima o poi si usciva, ed un'altra dei sentimenti, dalla quale non avevo idea di come tirarmene fuori. Rimaneva il dubbio di cosa fare. Rinchiudersi o scappare era da vigliacchi, ma affrontare il mare dei sentimenti a forza nove era forse peggio. Tanto valeva continuare a navigare a vista, e assecondare gli avvenimenti. Forse solo così avrei avuto qualche possibilità di uscirne con le ossa non troppo rotte. Eravamo due vascelli nella tempesta. Inutile tentare di sfuggire al destino che forse era già scritto. Lei era come me, confusa e vittima degli avvenimenti. Però le invidiavo il suo maggior distacco, che sembrava palesare. La sua capacità di cogliere il momento in pieno, che non era la mia, in un certo modo mi stupiva. Sembrava vivere quel che stava accadendo, come un qualcosa al quale non ci si poteva opporre. Sì, ogni tanto sbottava, esplodeva, cercava un perché, ma tutto sommato accettava di buon grado il fardello, che ci eravamo (forse) involontariamente caricato sulle spalle, senza porsi troppe domande.
Cosa fare? Continuare a giocare a carte scoperte: l'unica soluzione. Ma avevo ancora carte da giocare?
- E' inutile che te lo dico, ma te lo ripeto: mi piaci, mi piace il tuo essere persona così come sei. Forse mi piace tutto di te, anche il tuo trucco. Se stamattina lo rifai come ieri... - le dissi sollevando la mia bocca dalla sua, dopo l'ennesimo bacio.
- Magari, dopo ti accontento. E' la seconda volta che acconsento un tuo desiderio. Il signore desidera qualcos'altro?
- Te. Te solamente come sei adesso, anche senza scarpe e trucco. Soltanto te...
- Lo so, probabilmente lo sapevo fin dal primo attimo che ti ho visto.
- Anche io forse lo sapevo, ma avevo paura. Paura di sbagliare.
- Io invece desidero più d'ogni altra cosa avere fra i piedi quel sognatore balordo che ficca il naso dappertutto, che vuole sapere tutto e che ha sempre qualcosa da dire...
- Ma quanto durerà tutto questo sogno?
- Non chiedertelo. Vivilo se puoi.
- Ci proverò.
Intanto erano quasi le otto e dovevamo decidere cosa fare della nostra giornata. Scartata subito l'ipotesi di ritornare sulla terraferma, (il battello sicuramente non sarebbe partito per il maltempo), avevamo da inventarci cosa fare per trascorrere la giornata sull'isola. O meglio: visto il tempo fuori dalla porta, cosa inventarci per stare dentro al B&B. Nora mi propose di aspettare fin dopo la colazione, per tentare una sortita al Pub. Non perché le piacesse il posto, ma solo per cambiare aria. L'idea non mi solleticava troppo, ma certamente non potevamo rimanere per tutto il giorno abbracciati davanti una finestra, a contemplare il mare in tempesta.
Così in attesa della padrona di casa che ci avrebbe servito la colazione cosiddetta "Irlandese", diedi un ultimo bacio a Nora, e scappai un attimo su in camera, per cambiarmi d'abito e per sciacquarmi la faccia. Nel salire le scale, incrociai il padrone di casa. L'uomo aveva l'aria di essere sveglio già da un bel pezzo, almeno a giudicare dalla faccia rosea e di fresco sbarbata. Nell'augurarmi il buongiorno, mi strizzò ancora l'occhio, come la notte precedente, poi avvicinandosi all'orecchio mi sussurrò: - Per causa vostra, stamattina ho litigato con mia moglie. Lei non voleva per niente che vi aiutassi a stare al caldo stanotte. Lei, pensa che state dando scandalo. Neanche vi conoscete e già vi date da fare... così pensa - Ma io non sono per nulla d'accordo con lei, anzi. In quest'isola non succede mai niente di bello, niente di romantico. Tutto scorre noioso e piatto. E invece un bel giorno, due si innamorano a casa mia: mi fa piacere. Significa che l'isola non è morta del tutto, che vi è ancora spazio per la vita... - Mia moglie invece vive nella, e per la televisione. Vive di soap opera via satellite e psicofarmaci. Non ha null'altro da fare. E appena finite le sue poche faccende caserecce corre di fronte al video. Maledetto il giorno che ho fatto montare quella padella sul tetto. Per mia moglie voi date scandalo, ha detto che vi debbo buttare fuori.- Vi dovrei mandare da Tom O'Really, l'altro B&B. Secondo lei questa è una casa seria, e dato che noi siamo i più ricchi allevatori di tutta l'isola, abbiamo da mantenere un buon nome, un decoro. la nostra casa non è un bordello, e io non debbo fare il ruffiano...
- Ma state tranquilli, state qui quanto vi pare. Anzi, ve lo dico in anticipo: siete miei ospiti per tutto. Non osate avvicinarvi con del denaro quando partirete. Voi due siete l'unica nota di luce, in questa casa che ogni giorno diventa più buia. Maledetta la televisione, la chiesa forse non le bastava... E così dandomi una pacca sulla spalla, l'uomo si allontanò verso la cucina, probabilmente per prepararci la colazione, visto che la sua "gentile" consorte ci aveva dichiarato ufficialmente "indesiderati" per comportamento immorale...
Su nella camera mi cambiai e mi rinfrescai, e invece di scendere subito per la colazione, decisi di stendermi sul letto, per tentare di raccogliere ed ordinare i miei pensieri. Ora che Nora era lontana dalla mia vista, potevo tentare di razionalizzare quel che mi stava accadendo. Ma più che di osservare il soffitto ed accendere e spegnere nervosamente il paralume di fianco al comodino, non ero capace di fare. Senza di quell'altro essere umano, che tanto mi mancava, mi sentivo perso. Ma dopotutto era a pochi metri da me, al piano di sotto, vicino, a portata di mano. Ma mi mancava, mi mancava... Possibile che qualcuno che fino a 48 ore prima neanche conoscevo, potesse ridurmi in quello stato? Come diavolo avrei fatto il momento che ci saremmo dovuti lasciare?
E così iniziai a fantasticare su come trasferirmi in California, per non doverla abbandonare. Ma no! Meglio tutti e due a Parigi. Parigi è più bella, e poi lei mi ha detto che le piace. Potevo provare a trasferire il mio lavoro lì. Avrei imparato il francese, e non sarei rimasto lontano da Nora. Stupido. Mille volte stupido. Sapevo benissimo che una volta via da quell'isola, le carte si sarebbero per forza rimescolate Le nostre vite compiute o incompiute che erano, forse non si sarebbero rincontrate. Ma che futuro e futuro. L'unica maniera di vivere bene, è di vivere alla giornata. Non restava altro che tentare di vivere questa prigionia nel migliore dei modi, e di ringraziare il padreterno per tutto il bello che ci stava dando.
Dopo queste considerazioni, avevo timore a scendere giù per la colazione. Mi ero reso conto che desideravo Nora, che la desideravo più d'ogni altra cosa. Mi chiedevo come fino a quel momento, la mia vita potesse essere stata senza di lei. E proprio questo mi impauriva: possibile che, in così poco tempo avessi costruito nella mia mente un affetto che sembrava essere così grande?
Nel contempo avevo paura di legarmi troppo. Paura per il momento in cui mi sarei dovuto separare da lei, non paura per il presente. Mi venne allora in mente un libro di G.B. Shaw che avevo letto anni addietro: "Un Socialista asociale". Narrava appunto di un uomo qualunque, che per il troppo voler bene ad una donna ne stava lontano. Aveva paura di rovinare con la sua presenza, quel puro e bel sentimento che fra i due si era creato. Era un'operina giovanile di Shaw, rifiutata al tempo da molti editori, pubblicata solo quando il grande commediografo era ormai famoso. Shaw aveva scritto di meglio, ma in questo caso la situazione mi si addiceva molto.
Scesi di sotto. Nora era già al tavolo, e in cucina il padrone di casa era già all'opera, friggendo bacon & salsicce. Sua moglie sembrava essersi volatilizzata. Evidentemente il boicottaggio nei nostri confronti era nei fatti, non solo nelle parole. Il tempo non accennava a migliorare. Pioggia, vento, tuoni e fulmini. La tempesta, iniziata improvvisamente la sera prima, sembrava non aver fine. Nell'attesa della colazione, iniziammo nuovamente a parlare. Ma non ci riusciva di discutere così liberamente, come avevamo fatto fino a poco prima. La presenza del padrone di casa, ci rendeva più discreti. Nora probabilmente non sapeva ancora del boicottaggio causa "immoralità" che la signora ci aveva dichiarato. Comunque non mi pareva opportuno metterla al corrente di quello che il padrone di casa mi aveva raccontato, almeno finché l'uomo fosse stato a portata d'udito, e con la possibilità che la moglie arrivasse da un momento all'altro.
Il disagio di non sentirci abbastanza liberi di esprimerci, com'era diventato nostro uso, ci intristiva un poco. Così limitammo la conversazione alle scontate considerazioni sul tempo, che vanno sempre bene per esorcizzare l'imbarazzo, quando non ci si sente a proprio agio. Eravamo ancora in attesa che il nostro breakfast fosse pronto, quando misteriosamente sbucò dalla cucina la padrona di casa. Senza dire una parola, ma sorridendoci, quasi a mostrare i suoi due incisivi d'oro, la donna iniziò a pulire con aria distratta un orribile vaso finto-cinese, che faceva bella mostra di se, su un ancor più orribile tavolinetto al fianco della porta che metteva in comunicazione la sala con la cucina. Nelle sue mosse era evidente l'intenzione di spiarci, forse per metterci a disagio. La presunta ed accurata pulizia del vaso andava avanti da due minuti. Un tempo interminabile quando nell'aria vi è tensione.
Fu allora che Nora, sorprendendomi, si alzò dal suo posto. Aggirando il tavolo mi si avvicinò, e iniziò a baciarmi. Un bacio: un bacio come provocazione verso la donna. Un bacio che io ricambiai con slancio. L'idea di mettere in difficoltà quella donna, che pareva non sopportare l'idea che due perfetti sconosciuti, si fossero piaciuti e poi si baciassero sotto il suo tetto, mi eccitava. Così il bacio si protrasse per un bel pò. Nora era seduta sulle mie ginocchia in precario equilibrio, e mi baciava in maniera sfrontata e provocatoria. Io contraccambiavo con pari ardore, badando bene a sottolineare il momento con mille mosse come mai le avevo fatte in vita mia. L'intento era di far scappare la donna. Così dopo un pò, con un'ultima smorfia, non so se disgustata o rabbiosa, gettò la spugna. Girò i tacchi, e salì le scale che portavano al piano di sopra. Ma fu solo che nel momento in cui la donna chiuse alle sue spalle con gran fragore una porta, che, con qualche rimpianto forse, terminammo il nostro show improvvisato. Sorridendoci, alzammo i pollici in segno di vittoria.
Nora ritornò al suo posto e nello stesso momento arrivò il padrone di casa, con i vassoi fumanti contenenti le nostre due colazioni. L'uomo, servendoci sorrise con complicità. Poi a bassa voce ci disse: - avete fatto bene, siete stati bravissimi. Possibile che mia moglie rifiuti di capire una cosa così semplice e bella: vi siete piaciuti, e non fate nulla per mascherarlo. Stop. Ma è possibile che non capisca una cosa così bella? Possibile che non voglia che in questa casa entri un pò di luce?- Dicendo queste ultime parole il volto dell'uomo si rabbuiò. Era evidente, che i rapporti con la moglie non dovevano essere dei migliori.
Consumammo la colazione in silenzio. La sceneggiata di poco prima ci aveva messo di buonumore. Fosse stato per me, l'avrei continuata per un altro pò. Ma avevamo ancora tempo davanti a noi. Ora ci sentivamo più forti, ancora più uniti. Avevamo avuto la prova che non avevamo bisogno di parole per capirci. Potevamo contare anche sul padrone di casa, che ci aveva "adottati", andando contro il volere di sua moglie.
Alla fine della colazione, mentre ci alzavamo da tavola, Nora mi si avvicinò all'orecchio e mi disse : il signore, mentre tu eri di sopra, mi ha spiegato tutto. Mi ha anche parlato di com'è ridotta mentalmente la moglie. Non ha quasi più contatti con il resto della popolazione dell'isola, crede di essere una signora in mezzo agli zoticoni. Per il marito la vita deve essere uno strazio. La poverina vive solo di televisione, chiesa e psicofarmaci. La sua personalità, le si è avvitata intorno. Ma nonostante tutto, lui le vuole ancora un gran bene e mestamente la sopporta, nella speranza che qualche giorno, la donna si liberi dalle sue manie.
- La solitudine, se non si è preparati può uccidere. Povera donna, non credo che rimanere chiusa in casa in un'isola sia una buona medicina. - questo fu il mio unico commento.
Il vento non era solo vento, di piu. Una tempesta, un qualcosa di terribile che non avevo mai visto. Erano dodici ore che andava avanti così. Sembrava che gli elementi, infuriati per una qualche ragione a me sconosciuta, avessero deciso di sradicare l'isola dall'oceano, per scaraventarla chissà dove.
Intimiditi da tanta violenza, dalle finestre sbirciavamo quel che fuori avveniva. Il paesaggio era desolante. Così con il naso attaccato al vetro, restammo ancora per un poco a discutere se uscire o no. Poi con coraggio, o forse con imprudenza, si decise di sfidare l'ira degli elementi, e di mettere il naso fuori dalla nostra "prigione". Sul ciglio della porta, m'attardai un poco a sorridere. Strano, io non sorrido quasi mai. Ma quel giorno, era un giorno forse speciale. Non avevo fretta, sapevo che mi attendeva una giornata piena, forse. Un'altra di quelle rare giornate che non sarebbe passata inutile, come le mille e più che tutti noi buttiamo via, tra le piccole faccende del vivere quotidiano, e i difficili equilibri di un civil consesso sempre più esigente e lunatico allo stesso tempo.
Bardati nelle nostre vistose giacche a vento, che stonavano con il grigio dell'ambiente circostante, coraggiosamente varcammo il Rubicone che era diventato per noi la porta della casa. Timorosi aprimmo l'uscio, ed ecco che una folata di vento per poco non ci manda in terra. Bella accoglienza Clare Island! Bel buongiorno! La pioggia fitta, l'aria odorosa di salsedine, e la terra bagnata erano un tormento per le narici, abituatesi nella notte al sottile e delicato aroma di torba bruciata proveniente dal caminetto. Facendoci coraggio, e tenendoci per mano come due scolaretti, ci avviammo lungo il sentiero che collegava la casa con l'unica strada che girava per le poche abitazioni nei dintorni. Il rumore del vento era insopportabile. Un cupo ululato che copriva tutto. Il silenzio che tanto avevamo apprezzato nel nostro peregrinare del giorno precedente, era solo un ricordo.
Il vento: un lamento continuo fatto di mille grida, un poutpuorì di voci incomprensibili, che come una lama affilata, si infilava fin dentro i cappucci che coprivano le nostre teste. Così bardati, dovevamo somigliare a due esploratori polari, più che a due viaggiatori, per puro caso catapultati in quelle remote contrade ai margini d'Europa.
Il vento era l'unica voce dell'isola. In giro non si vedeva anima viva. Probabilmente gli isolani, dovevano essere tutti rintanati in casa, di fronte alla televisione, almeno a giudicare dal numero delle paraboliche, piazzate ben salde sui tetti delle case. In silenzio gironzolammo per una mezz'ora fra la banchina del porticciolo e le case vicine. Non un essere vivente, uomo o animale, pareva popolare quello che sembrava un paesaggio da dopoguerra nucleare.
Travolta dalla furia degli elementi, Clare Island sembrava in ogni momento sul punto di soccombere. Solo il vento e la densa schiuma dell'oceano in tempesta, che a strati si accumulava sui massi nella spiaggia, parevano essere un qualcosa di vivo, anche se di breve durata. Arrivammo così davanti all'ingresso del Pub-ufficio postale-drogheria. La porta che dava sull'esterno era aperta. Dietro i vetri, ornati da delle logore tendine, spiccavano delle vecchie scritte pubblicitarie della birra Guinness, miracolosamente sopravvissute dagli anni 50' e 60'. Dall'interno filtrava una debole luce al neon. Aprimmo la porta e una volta dentro ci rendemmo conto di essere anche lì l'unica presenza vivente.
Di clienti nemmeno l'ombra. Nessuno, neanche il gestore sembrava essere lì dentro. Dal bancone, ingombro di bicchieri sporchi, forse residuo della sera passata, saliva un acre odore di birra rancida. Sul retro notammo che da una porta socchiusa giungeva una musica. Una stupida musica da discoteca che con il suo martellante pum-pum, sembrava però dare un ritmo alla melodia che il vento creava sibilando negli spifferi delle finestre.
Nora facendosi coraggio, chiese ad alta voce se per caso ci fosse qualcuno. Di colpo la musica si abbassò di volume, e dalla porta si materializzò una donna.
La "gestrice" del pub era una donna giovane. Trent'anni o poco più. Non bella, non brutta. Occhi azzurri e volto squadrato. Capelli scuri, legati con una specie di treccia. Ma le tante pieghe del suo volto, e la stanca espressione dei suoi occhi, erano i segni di una vita piatta, senza emozioni. Quel volto così precocemente sfiorito, pareva esprimere rassegnazione. Non fosse altro perché il vivere in quel posto, richiedeva una buona dose di coraggio o di rassegnazione appunto.
Ma più di tutto mi colpirono i suoi occhi: spenti, piatti, muti di emozioni. Due fessure che parevano svolgere una sola funzione: quella di vedere. Nulla di più. La prima sera, quando eravamo appena arrivati, non mi ero accorto di lei. Probabilmente preso come ero da Nora, nella confusione e nel fumo l'avevo scambiata per qualche cliente.
Senza alzare gli occhi dal bancone la donna ci chiese: che volete?
- Due Hot Wiskey - disse Nora, evidentemente sicura che anche io necessitavo di qualcosa di caldo, per tentare di scacciare il vento che ci si era infilato fin dentro le ossa. Senza dir parola, e senza rivolgerci minimamente lo sguardo, la donna iniziò a sfaccendare con le bottiglie e tutto l'armamentario necessario per prepararci quell'intruglio di acqua calda, Wiskey e chiodi di garofano, che è l'hot Wiskey. Intanto Nora ed io la osservavamo in silenzio.
I suoi gesti, veloci e sicuri, contrastavano con l'aria dimessa che la donna aveva. Quando le nostre due bevande furono pronte, la donna non disse nulla, limitandosi a posare rumorosamente i due bicchierini fumanti sul bancone. Ma nell'esatto istante in cui avvicinammo le mani ai bicchieri, la donna ci sorrise e disse: "Bella giornata vero?" sottolineando le sillabe, come a farci notare la facile ironia. Poi provando a fare una specie di sorriso aggiunse: speriamo che non duri come in Gennaio, allora siamo rimasti isolati per dieci giorni. Comunque qui abbiamo birra per un mese, e dicendo questo esplose in una fragorosa risata.
La notizia che potevamo rimanere bloccati anche per molti giorni in quel coriandolo di terra Irlandese perso ai margini dell'Atlantico, ci turbava. Era inutile chiedere a Nora cosa pensasse. Tutti e due avevamo il dubbio se fosse una gioia o un problema rimanere confinati sull'isola. Certo, rimanere insieme a lei, era bello. Tutti quelli che scoprono di desiderare qualcun'altro vicino, sperano in cuor loro di rimanere soli con l'oggetto del desiderio. Chi di noi, non ha sognato qualche volta di rimanere con la persona amata su un'isola deserta?
Ma in verità, il rischiare di rimanerci davvero, è cosa ben diversa. Così anche noi, che non disdegnavamo per niente l'ipotesi di star lì da soli per qualche giorno, dovevamo alla fine tornare nella società che avevamo temporaneamente lasciato, ma che tutto sommato era lì a portata di mano: appena un po' più su della linea dell'orizzonte ci aspettava la terraferma.
Sapevamo però bene, che una volta rientrati sulla terraferma, per noi non sarebbe stata la stessa cosa. Era inutile inventarci sogni o altro. Stavamo vivendo un momento. Un momento che si sarebbe infranto con il suo meraviglioso sogno, una volta rientrati nelle nostre vite di tutti i giorni. Troppo era successo in così poco tempo. Le nostre carte erano rimescolate. A ragione pensavamo che qualsiasi cosa fosse successa, non saremmo stati più gli stessi. Ma al momento, il meglio era farsi trascinare dagli avvenimenti, tentare di vivere serenamente quel che il destino ci aveva preparato. Meglio questo che tentare di ipotecare il futuro con le parole e i pensieri inutili.
Con i nostri bicchieri in mano, ci andammo ad accomodare in un divanetto malconcio vicino all'unica finestra che sembrava non avere spifferi. Nel frattempo la donna si era dileguata, e dalla porta sul retro, ricominciò ad udirsi la musica. Nora pareva essere serena, quieta. Pareva trovarsi a suo agio in quella prigione, che era diventata per noi l'isola. Sembrava che quello che ci stava accadendo, fosse per lei una cosa normale come andare a fare una passeggiata o la spesa al mattino.
Sorseggiammo i nostri hot Wiskey lentamente, centellinandoli con cura, come fossero una bevanda speciale. Avevamo da far passare una mattinata, e poi l'intera giornata, e le uniche alternative del luogo, erano il pub o il B&B, con la sua donna nevrotica che ci odiava. Finito di sorseggiare il bicchiere, alzai lo sguardo in alto, verso il soffitto. Mi coprii poi con le mani la faccia, e tentai nuovamente di estraniarmi per qualche minuto. Avevo più che mai bisogno di mettere in ordine i miei pensieri. Mi riusciva difficile. Gli avvenimenti andavano troppo di corsa per tentare di razionalizzarli. Come potevo pretendere di spiegarmi con una qualche logica una cosa così improvvisa, totale. Un qualcosa che mi aveva portato in una dimensione che pensavo potesse esistere solo nella fantasia, e nei bei film di sentimento dove queste storie sono all'ordine del giorno. Paghi due e porti via tre. Nei bei "filmoni" strappalacrime questo è il comandamento: prendi due di sesso opposto (in questi tempi di "politically correct", anche dello stesso sesso), possibilmente carini. Chiudili in qualche posto dove non possano scappare, e vedrai che dopo un poco sono una coppia. Salvo poi a scoprire che tutti e due hanno già qualcuno che li aspetta a casa. Così finale moralista alla Hollywood anni '50, bacio finale (casto eh!) e i due sono di nuovo nei ranghi per non sconvolgere l'ordine costituito. Ma questo non era il caso nostro. Tutti e due liberi, tutti e due in qualche modo fuori dei ranghi. Eppure, eravamo consci di vivere un qualcosa a tempo: un sentimento ad orologeria.
Sapevamo che presto nel cielo cupo dell'Atlantico, sarebbe apparso il cartello "Fine". Su Clare Island, un misterioso personaggio aveva infilato una moneta in una misteriosa macchina, che permetteva di tirare i fili dei burattini. Così noi due ci muovevamo, forse al comando di questo misterioso individuo che si divertiva a farci recitare una parte, che ci piaceva però. Finito il gioco, e scaduto il tempo, le marionette tornavano al loro posto, in buon ordine. Forse noi istintivamente, sapevamo che era in qualche modo così.
Non ricordo quali siano stati i miei pensieri in quel momento, se mai ne ho fatti, ma solamente il dolce sapore delle labbra di Nora, questa volta odorose di chiodi di garofano dell'hot Wiskey, mi riportò con i piedi per terra.
- In quale pianeta eri? - Mi chiese, abbracciandomi.
- Pianeta Clare Island, un pianeta da cui ho paura ad andarmene. Ho paura di uscire dal sogno. Ho paura che questi momenti che stiamo vivendo siano troppo brevi.
- Non pensarci, "Carpe Diem" -
La passione è un sentimento senza vergogna, Gli amanti si abbracciano ovunque. I fanatici religiosi lacerano la loro nudità nelle grotte dei loro santi. Gli alcolizzati danno in pegno nei negozi di liquori, la loro sobrietà piangendo. Così la più intensa delle passioni, la brama di conoscenza, fa diventare il più innocente degli uomini come un bambino di un anno, che porta tutti gli oggetti alla bocca, per vederne il sapore. Così la passione che provavo per Nora era una specie di curiosità molto intensa: così intensa da non aver scopo apparente.
Era ormai un'ora che eravamo lì dentro, quando d'improvviso sentimmo aprire la porta. Era un avventore: un'altro temerario, che sfidando gli elementi arrivava in quel posto per bere un bicchiere, o sbrigare qualche incombenza. Eravamo pur sempre nell'unico "centro amministrativo" dell'isola. L'avventore non era altro che Séan, il nostro amico pastore-raccontastorie.
- Buongiorno ragazzi, vedo che siete qui. Vi ho anche cercato al B&B, ma allora ho immaginato che vi foste rifugiati qui. La signora del B&B non mi ha detto molto, ma a quanto pare non gli andate a genio. Ma non preoccupatevi: si comporta sempre così. Sembra che odi tutto quello che può essere felice. Questo è l'effetto di anni di quelle stupide medicine che prende per farsi passare la sua ancora più stupida depressione. Lei è superiore, lei è il meglio dell'isola. Gli altri sono pecorai barbari. Ma è proprio l'isola e le pecore che però le danno da vivere... Non mi dispiace per lei, ma per il marito che è un'amico. Le donne possono essere la sfortuna o il successo di un'uomo. Lei è la disgrazia di quell'uomo. Sapete come la chiamiamo sull'isola? Dracula. I denti già li ha!
Non commentammo quel che disse Séan. Non ci andava di mettere altra benzina sul fuoco. Quest'isola nemica e amica, poteva ridurre all'impotenza. Quella donna nel suo sogno d'esser regina, era diventata schiava e vittima di quella terra.
Più passava il tempo e più mi convincevo che l'isola era come un cavallo selvaggio da domare. Inutile prenderlo di petto. Chi ci provava veniva disarcionato. Così, come era stata disarcionata dalla vita, la nostra temporanea padrona di casa, auto-relegatasi nel ruolo di regina del nulla. Chiusa nel suo folle sogno di muto dominio. Notammo che Séan aveva sottobraccio una scatola rettangolare, larga e piatta. Sbirciai bene e vidi che era una scatola di un gioco. Il gioco di societÍ più comune al mondo: il monopoli.
Sì, Séan era venuto a cercarci per fare una partita a monopoli. Ognuno deve essere occupato a fare qualche cosa, avrà ben pensato, e allora lui, raccontastorie di buona cultura e dall'animo sensibile, come un prestigiatore ti tira fuori dal cilindro il monopoli. Bella idea. Che Nora ed io non avessimo molto da fare, era scontato. Ma lui invece di rintanarsi in casa come gran parte degli isolani, era andato alla nostra ricerca per giocare a monopoli.
Ottima idea quella di Séan. Cambiammo di posto, e iniziammo subito a giocare. Nora subito si dimostrò un'attenta "investitrice" del suo capitale. Io e Séan invece non indovinavamo una speculazione o un acquisto, e così in breve ci ritrovammo sul lastrico. L'accanimento e l'attenzione che Nora metteva nel gioco mi meravigliavano. Sembrava che per lei, vincere fosse una questione importante. Questo strideva con l'idea che mi ero fatto di Nora. Mi era sembrata troppo distaccata dalle cose terrene, troppo poco interessata al lato materiale delle cose. Invece scoprivo nel gioco un'altra Nora. Una Nora in qualche modo parallela alla Nora che credevo di conoscere.
Personalmente non metto troppa attenzione quando gioco. Gioco solo per stare in compagnia, e il vincere o meno non mi interessa più di tanto. In un ipotetico mondo di giocatori di carte, sicuramente non avrei diritto di cittadinanza. Troppo distratto: il baro di turno sicuramente mi spennerebbe ben bene.
Così alla fine della prima partita mi ritrovai senza un centesimo. Anche Séan non aveva più nulla. Nora aveva fatto tabula rasa.
- Ragazzi vi ho distrutti. Ora voi pagate da bere - esclamò Nora sorridendo.
- Queste birre invece ve le offro io - aggiunse Séan, facendo con la mano il gesto di fermarmi, mentre stavo avviandomi verso il bancone. E così, chiamando ad alta voce la donna del pub, Séan ordinò tre pinte di birra.
- Allora vi piace Clare Island? Vi piace il nostro maltempo? - Chiese Séan con evidente ironia. Non rispondemmo. Dallo sguardo era chiaro che Séan era incuriosito non tanto dalla nostra presenza sull'isola, ma da quello che forse aveva subodorato, e che ci era realmente accaduto. Inutilmente cercai di scambiare con Nora un qualche sguardo, come a chiedere aiuto, ma lei non parve rispondermi.