00 20/12/2007 11:00
E i temi ritornano...
Vediamo cosa ci riserva la polveriera balcanica stavolta. E vediamo come la "diplomazia" occidentale se ne sta occupando. Promette al Kosovo l'indipendenza e poi D'Alema dice "Eh, negoziati falliti". Grazie al cazzo, se tu comunita' internazionale spalleggi apertamente una delle parti promettendole l'indipendenza, e ponendola come condizione per l'ingresso della Serbia nell'UE, voglio vedere se i negoziati non falliscono.

Da Il manifesto del 15/12/2007

Baratto Kosovo
Il nodo Balcani piomba sull'Ue
Tommaso Di Francesco

Il modo in cui l'Ue si accinge a intervenire nuovamente in Kosovo è rappresentativo della condizione attuale dell'Europa politica. La Carta di Lisbona, dopo la bocciatura del 2005 abbozza ora un'intelaiatura di ruolo rappresentativo e sociale, sempre in chiave liberista. Sulla politica estera si ripropone la figura di un «alto rappresentante» super partes, più trasmissione delle volontà atlantiche e della leadership franco-tedesca, che non di un impegno autonomo e di sintesi.
A otto anni di distanza dal precipizio della guerra «umanitaria» contro la ex Jugoslavia nel 1999, fatta dalla Nato contro il parere dell'Onu, i leader europei tornano sul luogo del delitto facendo finta di non sapere quello che è accaduto in questi otto anni sul campo: una feroce contropulizia etnica che ha visto fuggire nel terrore gran parte della minoranza serba e rom, 150 monasteri ortodossi rasi al suolo, 1800 delitti e altrettante sparizioni. E dimenticando che quella guerra di 78 giorni di raid, con tanti «effetti collaterali» e vittime civili, finì perché si firmò un trattato di pace. Gli accordi di pace di Kumanovo autorizzavano l'ingresso delle truppe della Nato, ma garantendo l'unitarietà territoriale della Serbia e la sua sovranità sul Kosovo. L'accordo venne assunto dal Consiglio di sicurezza dell'Onu con la Risoluzione 1244. Lo ha ribadito, inaspettatamente, anche il presidente della commissione esteri della Camera, Umberto Ranieri che su questo ha polemizzato con lo sprovveduto ministro degli esteri britannico Miliband. Ma ieri i ministri degli esteri e premier dei 27 Paesi dell'Ue si sono messi su un terreno di scontro con il diritto internazionale, decidendo una missione civile - 1800 poliziotti, guardie di frontiera e giudici - che dovrà sostituire l'amministrazione Unmik-Onu, per dare un quadro di apparente legalità all'indipendenza etnica del Kosovo. E' quello che gli Stati uniti vogliono - tantopiù che lì hanno edificato Camp Bondsteel, la più grande base militare d'Europa - con la stessa insistenza con cui decisero la guerra «umanitaria» travolgendo le leadership europee e riprendendo in mano nel 1999 la guida dell'Alleanza atlantica. Ed è quello che farà l'Unione europea. Racconteranno che il segretario dell'Onu Ban Ki Moon ha dichiarato che per il Kosovo «questo statu quo non è più possibile» - ma non ha certo detto che è giusta la secessione etnica; diranno, e lo farà Massimo D'Alema il 19 dicembre visto che l'Italia ha la presidenza di turno del Consiglio di sicurezza, che le trattative sono fallite - ma sono state fatte fallire proprio dalla promessa dell'indipendenza, visto che invece Belgrado è arrivata a proporre il 95% di autonomia alla provincia portando gli esempi esistenti dello status delle Aland, quello di Hong Kong, e lo stesso statuto dell'Alto Adige. E infine spiegheranno che ora ci saranno porte aperte per l'ingresso in Europa della Serbia: ma a Belgrado, sia il premier Vojslav Kostunica sia il presidente Boris Tadic (che pure non vuole perdere il treno europeo) respingono lo scambio denunciando il ricatto di una istituzione sovranazionale che si apre ad un paese ma a condizione che perda il 15% del territorio. L'Europa, con la decisione della «missione», si avvia al fatto compiuto, aspettando sul baratro i risultati delle presidenziali serbe di febbraio-marzo, ben sapendo che il timore di perdere il Kosovo farà vincere, com'è accaduto, gli ultranazionalisti serbi. Così, senza riflettere sugli scellerati riconoscimenti delle indipendenze di Slovenia e Croazia autoproclamate su base etnica nel 1991-1992 (che provocarono, con i nazionalismi interni, la guerra e poi il disastro in Bosnia Erzegovina) torna a riconoscere l'ennesima indipendenza etnica. Che, vista l'incerta pace di Dayton, rischia di far riesplodere i Balcani, subito in Bosnia e in Macedonia. Ed è subito scontro. Con la Russia che annuncia il veto in Consiglio di sicurezza e si sente legittimata a soccorrere la Serbia ortodossa e a sollevare la questione, vera, del «precedente che si crea», con un occhio al suo Caucaso. Intanto la Serbia manda un minaccioso monito: «La missione Ue non sarà benvenuta». L'alternativa poteva essere rappresentata da una Ue forte e politicamente determinata, capace di proporre per la provincia martoriata uno statuto originale di autonomia dentro l'Europa, secondo standard comunque non etnici, in nessun senso. Così non sarà. E alla fine la beffa: l'Unione europea, invece di inviare una missione per gestire la nascita dello Stato di Palestina secondo il mandato di ben due Risoluzioni dell'Onu, ne invia un'altra per imporre lo stato etnico del Kosovo contro il diritto internazionale e la Risoluzione 1244 sempre dell'Onu.

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