Bocciatura preventiva per l’Unione
Dall’Economist voti bassi al governo Tra i ministri salvati Moratti, Martino e La Malfa. «Pannella uno dei pochi liberali»
MILANO - L’Italia resta in una fase di «lungo e lento declino». Le cose da fare sono ancora molte. In cinque anni per The Economist è cambiato poco. «Avevamo detto che Berlusconi era inadeguato per guidare il Paese, e oggi lo confermiamo. Le cose non sono molto diverse». Il giudizio del settimanale britannico sullo stato di salute dell’economia del Paese è impietoso, e non lascia spazio all’ottimismo.
«Addio, Dolce Vita», così l’Economist ha titolato l’analisi sull’Italia, in cui mette in luce le troppe lacune del governo nella gestione della finanza pubblica, nelle riforme, nel processo di liberalizzazione del mercato. Ritardi che non hanno giustificazione: «Tremonti - scrive l’ Economist - aveva dato la colpa della debolezza dell’economia all’11 settembre. Adesso che è tornato a guidare il ministero dell’Economia la colpa è dell’euro e della Cina». Il settimanale non se la prende solo con il governo Berlusconi. Anche Romano Prodi potrebbe risultare «unfitted» per guidare l’Italia. «Se riuscirà a vincere - spiega John Peet, responsabile delle analisi sull’Europa e autore del survey -, Prodi troverà difficile introdurre riforme. La sua coalizione abbraccia nove partiti, alcuni dei quali ostacoleranno ogni cambiamento». La verità per Peet è che nessuno dei due grandi raggruppamenti della politica «offre molte speranze a quelli che credono che il Paese abbia bisogno di grandi e dolorose riforme». E allora l’Italia rischia di fare la fine di Venezia, «rimasta seduta troppo a lungo sui successi del passato, e oggi è poco più che un’attrazione turistica».
L’Economist riconosce tuttavia che alcune cose positive sono state fatte. Il governo, scrive, è stato «coraggioso» nella riforma delle pensioni e del mercato del lavoro. Anche università e ricerca hanno fatto passi avanti. In politica estera, aggiunge, l’opera del governo può essere considerata come un successo. Salva dunque Roberto Maroni (al quale però non risparmia critiche per aver proposto l’uscita dell’Italia dall’euro), Letizia Moratti e soprattutto Gianfranco Fini: «Un uomo da tenere d’occhio». Il ministro degli Esteri, per l’ Economist , è il più probabile successore di Berlusconi se il centrodestra dovesse perdere le elezioni: «Casini è un candidato possibile ma per la leadership è più plausibile Fini».
L’unico leader più popolare del presidente di An, riconosce Peet nella sua analisi, è Walter Veltroni, «figura di rilievo nazionale» e «sindaco di successo a Roma». Al di là dei progressi fatti, resta comunque il nodo delle mancate riforme. Peet ha notato positivamente l’impegno di «Giorgio La Malfa con il piano di Lisbona» per rilanciare l’economia e accelerare le liberalizzazioni. A La Malfa riconosce inoltre di essere alla guida di uno dei pochi partiti liberali, sebbene molto piccolo. Ci sono anche i Radicali di Pannella, prosegue l’ Economist , segnalando tuttavia che non sono presenti in Parlamento. Per ripartire «serve un accordo di programma tra le coalizioni» ha suggerito l’ex commissario Ue Mario Monti, intervenuto ieri alla presentazione del survey .
La foto dell’Economist , ha riconosciuto il presidente di Telecom, Marco Tronchetti Provera, «è corretta. Ma ora guardiamo avanti. L’Italia sta recuperando credibilità all’estero e sul fronte delle riforme vedo segnali incoraggianti». Credibilità che, tuttavia, secondo Peet ha avuto una decisa battuta d’arresto per le vicende delle Opa bancarie: «Fazio ha fatto a pezzi la credibilità di Bankitalia, una delle poche istituzioni affidabili del Paese». Anche se, ha fatto notare ieri il presidente del San Paolo Imi, Enrico Salza «l’ Economist riconosce un’evoluzione positiva del sistema bancario».
Federico De Rosa
corriere.it