Un uomo tranquillo : l'Irlanda in edicola

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admin/moris
00martedì 25 novembre 2003 10:19
Domani, in allegato a Repubblica, c'è il libro di Maurice Walsh da cui è stato ricavato quello che forse è il film che maggiormante ha reso popolari i panorami irlandesi nel mondo (e che ha esasperato certi stereotipi del popolo che abita sull'Isola)


Quell’uomo tranquillo che piacque a John Ford
di IRENE BIGNARDI

Doveva essere un tipo simpatico Maurice Walsh, almeno a giudicare dalla foto che, generosamente, ci offre un sito specializzato in scrittori scozzesi - cosa buffa perché in effetti il Nostro è irlandese come la torba, essendo nato a Ballydonoghue nella contea di Kerry nel 1879, e morto a Dublino nel 1964.

Doveva essere simpatico: ha, in quest’unica foto disponibile, la faccia un po’ alla G. B. Shaw di un vecchio saggio che sapeva divertirsi, una bella barba bianca, e una giacca che possiamo immaginare di tweed. Ma se non sapete chi è Maurice Walsh, nessuna meraviglia.

Vero, nelle scuole irlandesi un suo romanzo, Blackcock’s Feather, che parla di un mercenario scozzese nell’Irlanda elisabettiana, è stato utilizzato per anni (o bizzarria) come libro di testo di storia. Ha scritto - ci dicono quelli che ne sanno più di noi - un fiume di romanzi di ambiente irlandesescozzese (un profilo di scrittore che si spiega con il fatto che per molti anni Walsh ha lavorato in Scozia, per il Servizio Imposte, e fu lì che venne incoraggiato da un grande autore scozzese, Neil M. Gunn, a dedicarsi alla scrittura).

E’ l’autore di una popolarissima serie di storie umoristiche basate su un personaggio che si chiama Thomasheen James, meglio noto come «l’uomo del non lavoro», che hanno deliziato per qualche anno il pubblico irlandese. Ma la sua relativa celebrità la deve a un racconto di venticinque pagine che è entrato a far parte del mito irlandese e del mito del cinema, L’uomo tranquillo. L’uomo tranquillo che, assieme ad altre storie, la Biblioteca di Repubblica propone nel volume di questa settimana.

L’uomo tranquillo apparve sul Saturday Evening Post dell’11 febbraio 1933, piacque, e ben presto si trovò incorniciato da Walsh con grazia ed astuzia in una raccolta di racconti, The Green Rushes, introdotti da un prologo quasi teatrale, che presentava i personaggi delle varie storie, sei uomini e quattro donne, ciascuno con un breve ritratto, in una cornice comune: l’Irlanda negli anni della «terribile guerra che oppose l’Ira, l’esercito repubblicano irlandese, ai famigerati reparti dell’esercito britannico, i BlackandTans, che si concluse con la tregua del 1921». Un’Irlanda « romantica e tuttavia così reale». Reale non sappiamo, ma Walsh è sicuramente, per ragioni biografiche, una garanzia. Romantica certo. Affascinante ancor di più. Walsh ha una prosa capricciosa e originale, saltellante e imprevedibile, doppiata di sense of humour e di un’allegra capacità mitopoietica: in altre parole, i suoi personaggi hanno una evidenza e una rappresentatività - di stati d’animo, psicologia, atteggiamenti - che li mette tutti in evidenza, li distingue, li disegna con pochi ma fondamentali dettagli.

E di qualcuno ci si innamora proprio: come della fascinosa e tragica Nuala Kierley, che per la sua bellezza viene usata dai suoi amici della causa indipendentista come la più classica honey trap dei romanzi di spionaggio, per attirare un ufficiale britannico e strappargli un documento - e ne ha la vita a lungo distrutta. O come la spiritosa e audace Margaid Mac Donald, la bella scozzese che, assieme a suo fratello, capitano dell’esercito britannico, viene fatta prigioniera dalla squadra dei nostri amici ribelli repubblicani in una valle coperta di eriche e di ruscelli, e passa la prigionia a pescare trote. O gran virtù dei cavalieri antiqui, andrebbe aggiunto: la guerra, che è guerra con morti e feriti - ciascuno con un nome, un’identità, uno strascico di dolore - segue ancora le regole della cavalleria, il nemico va rispettato, il codice d’onore rispetta le donne e il valore di una bella scazzottata.

Sono sei i racconti della raccolta, e si intrecciano sapientemente l’uno con l’altro, con i personaggi che ritornano e diventano protagonisti e comparse a seconda dell’angolatura che Walsh dà di volta in volta alla sua storia - il tutto raccontato come una memoria collettiva in una notte di giugno, all’Angler’s Hotel sulle rive del Lough Aonach, in un distretto montagnoso del SudOvest dell’Irlanda.

Ma veniamo al nostro uomo tranquillo. Che si chiamava Shawn Kelvin nel racconto del 1933 e che nel «romanzo» (perché tale alla fine è la raccolta, per la sua compattezza) è stato ribattezzato Paddy Bwan Enright, così come, strano destino dei nomi, diventerà Sean Thornton nel film che nel 1952 ne trarrà un altro grande irlandese, John Ford, dandogli l’improbabile aspetto di John Wayne (be’, Walsh continua a dirci che il suo eroe è bassetto, un torello, e «the Duke» era alto un metro e novanta...). Allo stesso modo Ellen O’ Grady, la non più giovanissima ma bella e dura ragazza dai capelli rossi che Paddy Bwan Enright sposa strappandola all’odioso fratello, si chiama Ellen Roe O’Danaher nel «romanzo», e diventa Mary Kate nel film - dove la sua immagine si fissa definitivamente nel bel volto irlandese di Maureen O’Hara.

E sarebbe un divertente esercizio filologico, purtroppo senza spiegazione finale (il simpatico Walsh non c’è più a illustrarci i capricci della sua onomastica ed altro), mettere a confronto il racconto con il capitolo relativo del romanzo e le loro variazioni. Quello che importa è che dai due testi trasuda la stessa simpatia, lo stesso mondo di amicizie virili, di allegre bevute, di allegria campestre, di autentica cortesia («gli O’Danaher non gli piacevano, ma non avrebbe mai ferito i sentimenti di un uomo»). Unico neo: la posizione delle donne, trattate (in termini matrimoniali), cedute, vendute a seconda della comodità dei relativi maschi di casa. Che hanno comunque vita dura: perché le signore descritte da Walsh sono toste, intelligenti, ribelli. E la vita, nella contea di Kerry, è dunque sempre molto agitata.

Il racconto diede origine a quello che è l’archetipico film irlandese. John Ford, nato Sean Aloysius O’Feeney, che aveva nel 1935 realizzato in uno studio di Hollywood un altro film irlandese, The Informer, comprò i diritti del racconto, per dieci dollari (e la maggioranza del suo mondo hollywoodiano pensò che avesse speso anche troppo). Ma ci vollero anni e anni perché il film venisse realizzato: nessuno, salvo Ford e forse Walsh, credeva a una storia di scazzottate irlandesi, il progetto sembrava troppo «personale», troppo lontano dalle cose che stavano facendo la fortuna di Ford e dei suoi produttori. Finalmente, dopo la guerra, Ford convinse la Republic a finanziare il film, con la promessa, tuttavia, che prima avrebbe fatto un altro western, Rio Grande.

Nell’estate del 1951 approdò in Irlanda, nel Connemara, con una troupe piena di irlandesi doc, da se stesso alla splendida Maureen O’Hara - ma con uno yankee a tutto tondo come John Wayne per il ruolo del protagonista - che, secondo molti, ha dato qui la sua migliore interpretazione. La lavorazione del «fillum», come lo chiamavano gli abitanti del villaggio di Cong, ha sconvolto per sempre, dicono i testimoni, gli equilibri locali. Ma la paga - trenta scellini al giorno, tre volte il salario normale nella povera Irlanda degli anni Cinquanta - giustificava tutto.

Un uomo tranquillo fu candidato all’Oscar come miglior film del 1952, ma vinse invece il premio per la regia di Ford e per la fotografia. Fu ben accolto, ma gli ci vollero alcuni anni per diventare il film di culto che è diventato, e per fare di Cong, di Connemara, di Galway, dei luoghi dove è stato girato, la meta di un pellegrinaggio continuo, alla ricerca della vecchia Irlanda cavalleresca, magica e dura di Maurice Walsh e di Sean Aloysius O’Feeney.

(25 novembre 2003)

[Modificato da admin/moris 25/11/2003 10.27]

LuciaA
00venerdì 28 novembre 2003 20:08
CAL
vado cercando da un bel po' di tempo un vecchio film. Si tratta di CAL, regia
di Pat O'Connor, con John Lynch. Magari non sarà niente di speciale ma mi
incuriosisce parecchio. Ho letto il librino da cui è tratto (di Bernard MacLaverty,
il titolo è sempre CAL) e non è per nulla malvagio; niente di speciale eh ma sono
molto curiosa di vedere la trasposizione cinematografica.
Se qlc ce l'ha....
Bye,
Lucia
lgiommi@interfree.it
lucymariott@hotmail.com

Eh sì, in effetti chissà cosa mi credevo io!? Di essere l'unica e sola Lucia del forum[SM=g27835]
mi credevo! E invece stò via due o tre mesi e... Allora... mi sono registrata come LuciaA (boia che fantasia!)[SM=g27819]
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