8 agosto 1956, la tragedia di Marcinelle

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clyve.50
00martedì 8 agosto 2006 21:35
I manifesti, affissi in tutti i comuni d’Italia, parlavano di un lavoro sotterraneo nelle miniere belghe. Naturalmente non fornivano alcun dettaglio su questo lavoro, soffermandosi invece sui vantaggi dei salari, delle vacanze e degli assegni familiari.
Quello che trovarono i lavoratori italiani in Belgio fu, invece, ben altra cosa:
un lavoro durissimo e pericolosissimo.
L’accordo del giugno 1946 tra Italia e Belgio, infatti, prevedeva l’invio di 2000 disoccupati la settimana da far lavorare nelle miniere belghe in cambio della vendita a basso costo di un certo numero di tonnellate di carbone. Naturalmente il benessere personale dei lavoratori entra poco in queste considerazioni di strategia politica ed economica.
I minatori sono avviati da tutta Italia verso Milano dove, sotto la stazione, tre piani sotterranei sono a loro disposizione.
Dopo aver superato le visite mediche e dopo un viaggio che poteva durare anche 52 ore, gli italiani sono scaricati non nelle stazioni riservate ai passeggeri ma nelle zone destinate alle merci.
Qui vengono allineati secondo il pozzo nel quale dovranno andare a lavorare.
I lavoratori vengono sistemati nelle baracche di legno che erano utilizzate dai prigionieri russi durante l’occupazione nazista, come si può capire erano alloggi indecenti al limite della vivibilità.
Questo popolo di lavoratori era tenuto lontano dalle città nascosto in campi sconosciuti alla maggioranza dei belgi: era un popolo invisibile. Li chiamavano anche “musi neri” per il particolare tipo di lavoro che svolgevano.
I primi arrivi di italiani hanno anche suscitato movimenti di rifiuto di stampo razzista in Belgio e numerosi furono le risse e gli incidenti tra belgi e italiani: come si può notare sembra che la storia non abbia insegnato nulla a noi italiani.
L’8 Agosto 1956, era un mercoledì, 275 uomini scendono nelle miniere Bois du Cazier di Marcinelle. Le gabbie degli ascensori avevano distribuito le squadre nei vari piani, a quota 765 e 1.035. Un carrello esce dalle guide e va a sbattere contro un fascio di cavi elettrici ad alta tensione senza rete di protezione. Subito divampa l’incendio e le fiamme si propagano immediatamente. Solo 13 lavoratori sopravvivranno.
Le vittime sono 262 di cui 136 italiani.

Il processo che seguì si concluse con l’assoluzione dei dirigenti della società mineraria e la responsabilità fu attribuita all’addetto alla manovra del carrello, un italiano anch’egli morto nel disastro.
La tragedia colpì la comunità italiana e fece conoscere a tutti le condizioni proibitive del lavoro nelle miniere. Il governo italiano, incalzato dalle opposizioni, fu costretto a bloccare le vie ufficiali dell’emigrazione verso il Belgio.

Anche queste cose vanno rammentate, soprattuto oggi!
jay.ren
00mercoledì 9 agosto 2006 08:15
Grazie del ricordo Clyve.

E' uno dei pochi argomenti su cui la rete non ha scritto pagine e pagine di notizie, racconti e testimonianze.

R
jay.ren
00mercoledì 9 agosto 2006 13:51
Marcinelle, il lungo giorno della memoria | di Roberto Ferrucci
Cinquant'anni dopo, tanti ex minatori ieri si sono dati appuntamento: quelli salvati perché destinati a turni diversi, e quelli risparmiati dalla silicosi.

Sulla transenna l'indicazione, a destra, non lascia dubbi: “Gueules noires”, per di là. Le facce nere. Li chiamavano così, da queste parti i minatori, quelli che lavoravano il carbone laggiù, nelle profondità di Le Bois du Cazier. Quelli che abitavano nel Pays Noir, Charleroi. E per di là, ci arrivi dritto davanti, alla miniera. All'entrata, i due tricolori - verde bianco rosso, nero giallo rosso - garriscono al vento. Sarà l'effetto della prospettiva, certo, lo schiacciamento dell'obiettivo della macchina, ma nella fotografia, poco dopo, sembrerà davvero di vedere le due bandiere accarezzare la “guele noire” del minatore subito dietro, locandina dello spettacolo teatrale della sera prima.

«Sono le cinque del mattino dell'8 agosto 1956. Il sole spuntava in cielo e la giornata si annunciava come deve essere una bella giornata d'estate». Sono parole scritte da Frans Lowie, belga fiammingo, uno dei dodici sopravvissuti del disastro di Marcinelle. Un diario di dieci pagine scoperto da poco e pubblicato nei giorni scorsi dal quotidiano De Morgen. Le cinque del mattino, ed è partito presto, Frans, come faceva sempre. «Il mio compagno Bidlot Louiz mi aspettava fuori di casa. Dopo qualche minuto è passato l'autobus che come ogni giorno, ci ha portato a Marcinelle». Cioè qui, dove oggi (ieri ndr), cinquant'anni dopo, tanti di loro si sono dati appuntamento, quelli salvati perché destinati a turni diversi, quel giorno, e quelli risparmiati dalla silicosi, negli anni a venire.
Dentro al Bois du Cazier ci sono famiglie intere, tanti giovani, ciascuno legato a un parente rimasto là sotto, cinquant'anni fa. Come quel ragazzo, che appena entrato nel museo, individua il pannello con le piastrine di riconoscimento, si avvicina insieme al padre e incominciano a guardarle una per una, con una certa frenesia, fin quando lo trovano, il numero 170, Opdebeek Louiz, e la frenesia, se possibile, aumenta. Ci sta almeno una decina di minuti, il ragazzo, a lottare col riflesso che rimbalza sul vetro. Prova da ogni lato a immortalare il nome di quel parente, dall'alto e alla fine, dopo un'infinità di scatti, se ne andrà sconsolato.
«Mica lo puoi raccontare com'è stare là sotto. Ci devi essere stato, in fondo alla mina, per capire cos'è», continua a ripetere a tutti il vecchio con la barba bianca, l'accento bergamasco e il foulard rosso. Lo fanno ridere, a lui, tutti i vari amministratori di stato, regioni e comuni, arrivati fin quassù, a Marcinelle, per questi cinquant'anni. Quelli come lui, sceso per la prima volta là sotto a sedici anni, a 1180 metri di profondità, e che di colleghi morti ne ha visti a decine, quelli come lui, il cuore lo hanno lasciato laggiù. Nella mina, come loro chiamano la miniera. Belgi come italiani. Anche se in Italia tutto è passato nell’indifferenza - quasi – assoluta. Non qui a Marcinelle. Qui non vogliono dimenticare. Come quel vecchio, alto alto, sorridente sorridente, vestito da minatore, con caschetto e tutto il resto. Lungo il percorso verso non so dove in tanti gli chiedono una foto. Gli ultimi, una coppia di anziani, dopo il clic gli domandano in francese di dov'è. Italiano. Di dove. Provincia di Vicenza. Dove. Caldogno. E la donna scoppia in lacrime. Li lascio lì. Abbracciati ai loro ricordi. Al ricordo di un giorno in cui, cinquant'anni fa, qua sotto, scoppiò l'inferno.

Fonte: www.ilbrescia.com



Foto: www.indymedia.be

[Modificato da jay.ren 09/08/2006 13.52]

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