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Aran [racconto]

Ultimo Aggiornamento: 15/12/2006 21:49
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15/12/2006 21:49
 
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Altri Racconti: Aran

Una storia che mi viene in mente parla di vecchi e di come era l'isola di smeraldo 10 anni fa...
... ebbene, dopo due anni dal primo fatale viaggio all'ovest, decido di riprendere il pellegrinaggio per l'Isola.
In vacanza, mi porto dietro un amico che se fosse andato in Burundi, con tutto il rispetto per questa remota regione, sarebbe stata la stessa cosa.
Comunque, in due settimane, decidiamo di visitare Il Mondo Alla Fine Del Mondo. Patagonia? No, Isole Aran.
Con il Bus Eirann, arriviamo a Galway, e da lì il giorno dopo prendiamo il traghetto... non so dire se tutt'ora è ancora così, ma non esisteva un collegamento diretto con le isole, e tappa obbligata era Galway, dove ti dovevi fermare almeno per una notte.
Saliamo sulla barca ed era metà settembre, e se a Dublino c'era vento, lì c'era la bufera, e sull'Atlantico si sente tanto, ma così tanto... che il cielo era grigio, il mare era grigio,i gabbiani erano grigi, la barca era grigia, le onde erano alte e grigie, pure il vento sembrava grigio, come la mia faccia che stramazzava sul sedile interno intenta a ricomporre i propri connotati, che si ostinavano a disperdersi tra i passeggeri... mai sofferto di mal di mare?
Beh, io no, e non è mai più successo.
Posto l'orecchio al lato della faccia, riesco ad emettere suoni finalmente umani e chiedo informazioni.
Già all'epoca il turismo era quello che sosteneva l'economia delle isole, e così, il mio amico ed io decidiamo di fare i turisti e, invece di prendere il taxi, saliamo su una carrozzella, proprio come quelle che ancora si vedono in giro per Roma.
"Carino!" penso e lo dico. Detto ciò, il guidatore inizia a fare domande a raffica sulla nostra provenienza, sui nostri nomi... ed io, afferrando l'afferrabile del discorso, traduco per il mio amico. Insomma, lui, che aveva l'energia di un cavallo da traino, mi rivolge improbabili domande in un inglese, che se lo avessi studiato a scuola a quest'ora saprei tre lingue, e, mentre cercavo di avvicinare l'orecchio alla bocca del tipo, partiva, in una lunghezza ancora da calcolare, una cozza di saliva bianca che rovinava sullo zaino... lasciandomi muta, disorientata e con i connotati che di nuovo partivano alla ricerca di un luogo dove alloggiare... Imperterrito il vecchietto incitava il suo cavallo e continuava a parlare in gaelico, quella che al tempo, era l'unica lingua corrente nell'ovest irlandese.
Inutile dire che nel '92 dieci pounds rappresentavano una certa somma, fatto sta che, vuoi per il calesse, vuoi per il soggetto folkloristico, questo fu quanto ci chiese per arrancare su per la collina.
E lì, scoprii la fine di tutte le terre, il THE END della vecchia Europa, dove i suoni vengono portati lontano a dissolversi nell'oceano e dove si può intuire cosa hanno provato quelli che hanno detto "Arrivederci!" all'Isola di Smeraldo, che forse era un addio, con il cuore in mano, migrando oltre oceano: un'unica direzione, gli occhi sospinti dal vento, il respiro affannoso che ha perso il suo odore e ha preso quello del mare, e ti giri, e vedi qualcun altro sul bordo della scogliera accanto, e saluti con la mano e poi ti rendi conto di quanto anche tu, come quello là, sei minuscolo nel tuo essere isolato da metri e metri di precipizio sotto ai tuoi piedi, che ti chiama in una vertigine calda perché dentro sei di ghiaccio, basta un passo e sei mare. Allora discerni la tua leggenda da quelle già scritte, di giovani che hanno trovato la libertà varcando il confine senza un transatlantico, e piano porgi il tuo volto alla pianura e i tuoi piedi ai sassi bianchi giusto dietro di te, e fai un benedetto passo indietro e senti che il confine è lontano, e il senso del limite è di nuovo vicino...

... ma dove ero un attimo fa?


Un racconto di Francesca G. (Silverland)
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