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Storia di Marzo [racconto]

Ultimo Aggiornamento: 15/12/2006 21:46
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15/12/2006 21:46
 
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La cosa che più mi fa paura delle donne è al tempo stesso quella che più mi affascina: gli occhi. Le donne quando vogliono, possono capire con gli occhi: "Leggono", scrutano, indagano nell'ipocrisia o nel timore. Gli occhi di una donna possono trafiggere, in un momento di vuoto o di difficoltà.

Nel rispondere alla domanda di Séan, perso fra il dubbio e l'imbarazzo, mi adagiai in una scontata e ipocrita risposta: - "se solo il tempo fosse migliore..." Comunque ieri abbiamo girato abbastanza, e l'isola è un posto molto interessante -
Séan non replicò. Dal suo sguardo era evidente che la mia risposta sembrava non soddisfarlo. Intuivo che era ancora curioso di sapere che stava succedendo tra me e Nora. Fu lei come al solito a togliere le castagne dal fuoco. Con una di quelle sue uscite improvvise, che avevano il potere di sconvolgere, prese di petto la situazione e disse:
- Caro Séan, forse tu sarai curioso di sapere cosa stiamo combinando noi due. Ebbene, se è questo che vuoi sapere, ti accontento subito. Io e il "signore" qui di fianco stiamo vivendo un qualcosa. Qualcosa che non sappiamo ben definire, ma che non è il semplice accompagnarci. Ti basta questo o vuoi altri dettagli? Vuoi sapere quante volte ci siamo baciati? O se siamo già andati a letto? Se vuoi non ho difficoltà a dirtelo.
Come al solito Nora aveva spiazzato tutti. Me, che non sapevo bene che dire, e Séan che con lo sguardo basso, era come inebetito dalla crudezza della risposta di Nora. La sua irruenza, ma anche la sua sincerità avevano un effetto dirompente. Il suo spiattellare in faccia la cruda verità, senza mediazioni o ipocrisie, metteva al tappeto l'interlocutore.
Una cappa di silenzio calò nel pub. Allora Séan, forse ancora frastornato dall'esplicita dichiarazione di Nora replicò:
- Ragazzi, non che io voglia intromettermi nelle vostre faccende. Ma l'isola è piccola, e le voci che corrono sono il nostro unico svago. Voi due siete i primi visitatori a mettere piede su Clare Island da Settembre. Siete arrivati separatamente, ma vi vediamo sempre insieme. Come minimo siamo incuriositi. Mettetevi nei panni nostri...
Scusatemi se vi ho offeso, ma provate a mettervi al posto mio: qui realmente non succede nulla. Voi due rischiate di essere l'avvenimento di tutta una stagione e anche l'argomento di discussione del prossimo inverno. Vi chiedo scusa. Amici come prima?
Non c'era traccia di malizia negli occhi di Séan, ma quell'espressione di curiosità infantile, che illumina lo sguardo del bambino, quando chiede spiegazioni su un qualcosa più grande di lui. Quella stessa strana luce, che illumina lo sguardo dell'adulto, quando contempla qualcosa che gli interessa, che piace. Guardai in volto Nora come per chiedere un assenso per "perdonare" Séan. Nora questa volta mi sorrise e poi disse rivolta a Séan: - Perdonato. Ma non hai nulla di che farti perdonare, la curiosità in questi casi è d'obbligo.
- Ti ringrazio, non era mia intenzione essere un ficcanaso. Ma lo sapete che voi due siete la prima coppia che si forma su quest'isola da anni? Siamo rimasti in pochi qui a Clare, la vita è troppo dura. Non vi è futuro per l'isola. Abbiamo solo pecore e un poco di pesca. E per il turista abbiamo poco da mostrare: verdi colline, solitudine, oceano e uccelli. Tutto qui.
Ormai qui nessuno si sposa, che prospettive vi sono? E quei pochi che hanno il coraggio di restare, vanno a cercar moglie sulla terraferma.
- Tu sei sposato Séan? - Chiesi all'improvviso.
- No, sull'isola le poche ragazze decenti son tutte già sistemate. I giochi sono fatti amico mio. E di quelle che conosco sulla terraferma, nessuna pare interessata alla prospettiva di venire a vivere qui.
A Settembre penso di andare alla fiera di Lisdoonvarna, nella contea di Clare. E' la fiera degli scapoli e delle nubili. Un grosso mercato del bestiame con uomini e donne per le strade del paese, al posto di buoi e cavalli. Chiunque va lì, può chiedere a chiunque dell'altro sesso se lo vuole sposare. Poche formalità.
Vedi una che ti va, e gli chiedi di bere qualcosa con te. Se funziona, si va avanti. Chi va lì, va solo e semplicemente per cercare moglie. Vengono uomini e donne da tutta l'Irlanda. Di solito funziona. Il problema è se qualcuna delle aspiranti spose è disposta a trasferirsi qui su Clare Island. Ma se non accetta, questa volta sarò io a vendere tutto e trasferirmi sulla terraferma. Mio fratello non aspetta altro. Così potrà avere un'azienda più grande e redditizia. Lui è già sposato qui.
Piuttosto, voi due, come diavolo avete mai scelto di venire qui, con tanti posti che ci sono in Irlanda?
- Altre tre pinte di birra - gridò Séan alla barista.
Non replicai subito. Era difficile. Neanche io in realtà sapevo la precisa ragione che mi aveva spinto ad avventurarmi in un posto simile. Rimasi così a guardarlo, e nel contempo cercai di nuovo in soccorso lo sguardo di Nora.
- E' difficile dirlo, forse la curiosità, forse il desiderio di un posto inusuale, non lo so ancora bene - esordii rompendo il silenzio che si era creato fra noi tre.
- La prima volta che ho visto Clare Island è stato l'anno scorso, da lontano. Ero ad Achill Island, che non è lontana da qui. Achill è un'isola a metà, per via di quel curioso ponte che la collega alla terraferma. Arrivare su un'isola in bicicletta, come ho fatto io, è inusuale, ma così è fatta Achill Island...
Una mattina ventosa, ero nel B&B facendo colazione. Un B&B bellissimo, isolato su una collina che domina l'esterno della Clew bay. La sala da pranzo, era in una ancor piu' bella stanza a vetrata affacciata sulla baia. Il paesaggio era fantastico. Mentre tranquillamente facevo colazione, confusa tra il grigio dell'oceano, ho visto apparire nella nebbia che si diradava una sagoma verde. Un qualcosa di tondeggiante che spuntava in lontananza dal mare. Incuriosito da quel lembo di terra, ho chiesto lumi al padrone del B&B. Lui ridendo mi ha detto: quel posto è Clare Island, non ci abita quasi nessuno.
Io personalmente non ci sono mai stato. Poi scoppiando a ridere: figurati, dicono che in tutta l'isola non vi è che un solo pub! Una volta tornato a Dublino, sono capitato in un Cinema a vedere un bel film: "La storia del vescovo". Un film realizzato con pochi mezzi, in un fantastico bianco e nero. Il paesaggio e la storia erano affascinanti. Rimasi colpito dai luoghi selvaggi, e dal senso di precarietà che sembrava avere la vita sull'isola, sospesa così come è tra l'oceano e una lontana terraferma. Solo qualche giorno dopo, leggendo una recensione su un giornale, seppi che il film era stato girato quasi per intero su Clare Island. In quel momento presi la decisione che prima o poi sarei andato a Clare Island.
Alla fine... eccomi qui, nell'unico pub dell'isola. Quell'unico pub che faceva tanto ridere il padrone del B&B di Achill...
- Io invece, fino a tre giorni fa, non sapevo neanche che esistesse Clare Island. - Esordì Nora - Ero a Galway. Una volta Galway mi piaceva tanto. Ultimo avamposto di urbanizzazione prima dell'oceano. Città sospesa tra fiumi, laghi e mare. Bella atmosfera e gente cordiale.
Adesso Galway è invasa di turisti superficiali da tour organizzati, e da presunti studenti, quasi tutti stranieri, che sprecano allegramente i denari delle loro famiglie, perdendo tempo nei pub e distruggendo con il loro stupido pressappochismo quell'atmosfera particolare che Galway un tempo aveva. Una mattina stufa di tutta questa stupida umanità che inquina una bella città, sono andata all'ufficio turistico ed ho chiesto: potreste "suggerirmi" qualche posto dove non trovi studenti, turisti e freakettoni perditempo?
L'impiegata senza scomporsi mi propose Clare Island. "Lontana da tutto e da tutti", assicurandomi che sicuramente d'inverno sarei stata la sola "straniera" su Clare. E invece, trovo un altro "pellegrino", arrivato qui, più o meno per la stessa cosa...
Dicendo questo Nora iniziò a ridere e mi abbracciò. Io le risposi baciandola. Era evidente che quel minimo di riservatezza sui nostri rapporti che avremmo voluto mantenere, era caduta. Eravamo di nuovo sul palcoscenico.
Le donnette di paese spesso per vincere la noia, origliano alle porte dei vicini. Ma le stesse donne, anche se all'inizio sono inclini al facile commercio di quanto carpito, col tempo diventano le gelose depositarie di quel che apprendono di contrabbando. L'atto di soddisfare la curiosità sembra essere quanto basta per accontentarle. Il conoscere i fatti altrui, con il passare del tempo perde il suo interesse. Allo stesso modo Séan sembrava essere contento, appagato di quello che gli avevamo spiattellato in faccia.
Continuammo a giocare per tutta la mattinata, che passò subito, e quasi ci dimenticammo della nostra situazione di "prigionieri", tra acquisti di case e terreni e altre speculazioni, che comunque parevano essere fuori luogo in un'isola abitata da più pecore che abitanti.
- Non voglio che voi pensiate male di me - disse Séan con gli occhi lucidi, accomiatandosi da noi - vorrei essere apprezzato per quello che realmente sono, e per la mia presenza su questo mondo, sempre che abbia un senso -
In gran fretta si avviò verso la porta. Nell'aprire la maniglia si girò di scatto verso di noi e disse ad alta voce:
- Ci rivedremo, no? -
Poi agitò la mano per salutarci ancora e mormorò:
- Se sarò ancora qui -
Chiudendo la porta, sporse un poco la testa sul vetro che dava sull'interno e ci sorrise. Poi veloce si allontanò nella tempesta che di fuori continuava.

Lettore, mio silente mecenate, che altro ancora devo dirti? Siamo alla frutta. A quel tempo, ero sazio delle mille emozioni che una passione scatena. Ed ora continuo a tediarti con i miei solfeggi interposti. Per esorcizzare il ricordo, continuo a trascinare la penna come un'aratro. Divago forse?

Per tutta la mattinata nessuno osò venire nel locale e noi e Séan fummo le uniche presenze umane visibile nei dintorni. Il tempo non accennava a migliorare, anzi. Il vento pareva essersi fatto più insistente, almeno a giudicare dai sibili che provenivano dagli spifferi delle finestre.
Di nuovo noi due. Soli. Osservavo Nora, e lei osservava me. Ormai lo facevamo da quando ci eravamo conosciuti.
Sembravamo non essere mai sazi di guardarci. Scoprivamo sempre qualcosa che non avevamo visto prima. Magari un pelo fuori posto, o uno stupido neo poco in vista. Parlavamo ancora di noi. Ormai avevamo pochi segreti da scoprire. Sapevo tutto del suo presente, del suo essere. Sapevo poco, e non mi interessava più di tanto il suo passato. Sapevo tutto quello che aveva letto. Sapevo che abiti le piacevano. Sapevo cosa voleva essere. E più di tutto sapevo perché le ero riuscito a scombussolare la vita. Io, l'ultimo arrivato; il meno prevedibile.
- Non mi hai ancora detto nulla sui miei vestiti. Ti sei accorto che ho cambiato maglione?
- Si, lo ho notato. Ti sta bene.
- Tutto qui?
- Cosa altro ti dovrei dire, sei bella in ogni vestito.
- No, non volevo dire questo.
- E allora? .
- Ieri mi hai detto che "insaccata" in maglioni e giacca a vento, da lontano non si notava che ero donna.
- E' vero.
- Ed oggi?
- Si nota, eccome.
- Cioè vuoi dirmi che mi si vedono finalmente le tette?
- Non volevo dirtelo così, ma è quello che penso. Se il padreterno le ha messe lì, serviranno a qualcosa. Per il momento ti fanno più bella.
- Ma perché non chiami le cose con il loro nome, invece di giraci intorno. Tette, queste due si chiamano tette. Non sono il massimo, ma ne sono fiera. Un bell'abito aderente fa sempre piacere portarlo, almeno finché avrò qualcosa di decente da mostrare!
- Vuoi che ti dica che hai un bel paio di tette?
- No, voglio che tu chiami le cose con il loro nome. Non girarci intorno. Ricordati che il nostro patto è ancora in vigore e non barare.
- Va bene, ma un poco di gentilezza non guasta. Tette non mi piace, è freddo.
- Ma sto meglio vestita così, o come ieri? Insomma: con le tette nascoste, o con le tette evidenti?
- Tette evidenti -
Quest'improvviso cambiamento di registro mi stupì non poco. Non era la prima volta che Nora si esprimeva così direttamente. Ma mi incuriosiva la sua attenzione, il risentimento direi, verso un mio giudizio. Un giudizio estetico, ma sempre un giudizio. Un giudizio sulla sua difficile identificazione come donna (da lontano però), che doveva averla in qualche modo punta nell'orgoglio.
Il suo orgoglio di sentirsi e vedersi donna. In qualche modo fui felice di questo. Il suo provocatorio indossare una maglia aderentissima, che lasciava trasparire le sue forme, era la sua risposta.
Ma Nora non aveva certo bisogno di artifizi, o facili mezzucci per dimostrare la sua femminilità. Lei era donna. Ma donna nel senso ampio della parola, non nel mero significato fisico. E il mettere in mostra le sue forme, non poteva aggiungere nulla in più a quello che mi attraeva di lei: la sua femminilità. La femminilità che Nora esprimeva nei suoi gesti, nel suo parlare, nel suo essere realmente l'altra metà del cielo.
Allora, forse rinfrancata dal mio atteggiamento, Nora mi abbracciò e iniziò a piangere.
- Perché piangi?
- Immagina...
- Non ricordarmelo.
- Prima o poi dobbiamo decidere che fare di noi.
- Certo che sì, ma vorrei che tutto non finisse qui.
- Lo vorrei anche io, ma ho paura che noi due fuori da qui non saremo più gli stessi.
- Anche io credo che sia così, ma non ricordarmelo. Ho paura di lasciarti.
- Non è un'avventura. Non è un'avventura questa che stiamo vivendo. Non è la solita cosa che succede quando si va in giro. Si conosce qualcuno, ci si passa qualche giorno insieme, si passa una notte a letto, ci si saluta ed è tutto finito.
- No, non è così. Ma come possiamo che questo che abbiamo costruito non vada perduto? Come chiamare quello che ci sta accadendo?
- Un nome non esiste. Qualcuno lo chiamerebbe amore, ma io non credo all'amore. L'amore non dura. Può durare qualche stagione, poi si esaurisce e ci si sente vecchi dentro. Invece per la prima volta in vita mia ho il desiderio di rimanere con una persona per sempre.
Mi sembra di aver trovato la parte mancante di me stessa, di averla trovata nella persona più lontana e vicina allo stesso tempo che potevo incontrare.
- Anche a me sembra di averti attesa per tutta una vita. Ma perché non credi all'amore? Io ci credo.
- Ho sbagliato tante volte, troppe forse. Ogni nuova luce nella mia vita la chiamavo amore. Poi, però si spegneva.
- Proviamo a non spegnerla...
Restammo abbracciati. A guardarci negli occhi senza parlare, timorosi di perderci, dopo che così fortuitamente ci eravamo trovati. Eravamo ancora lì, nel nostro angolino, quando un suono, un trillo attirò la nostra attenzione. Era il telefono. Ci eravamo dimenticati che un filo, un sottile filo telefonico, congiungeva l'isola con il resto del mondo. La gestrice del pub accorse dal retro per rispondere. Dopo un po', tenendo alzata la cornetta a mò di accetta chiese: è lei la signorina Nora? La tedesca? Nora si alzò e senza dir niente, corse all'apparecchio.
La udii confabulare in tedesco per qualche minuto. Non comprendevo quello che diceva, ma dall'espressione del suo viso non sembrava essere nulla di buono. Poi una volta finita la comunicazione ritornò vicino a me, e con aria seria e piangendo mi disse:
- E' finita. E' finita la mia parentesi di libertà. Un regista chiede di me per un film. Devo tornare al più presto a Los Angeles, o altrimenti potrebbero affidare la parte a qualcun'altra.
E ora non sto proprio in un periodo di abbondanza di soldi. Ho bisogno di lavorare.
- Ti verrò a trovare. Voglio vedere come vivi lì.
Non mi rispose, ma iniziò a nuovamente a piangere, a piangermi fra le braccia. I singhiozzi le lagrime le impedivano di parlare. La notizia che doveva affrettare il suo ritorno sembrava averla sconvolta. Lei, la donna che provava a vivere il momento per il momento, era sconvolta per quello che era l'inevitabile. Di colpo tutta la sua tranquillità, il suo distacco, erano andati in fumo. Rivedevo allora la Nora che prima, giocando a monopoli si era dimostrata diversa.
Provai in qualche modo a consolarla, ma turbato anche io dalla notizia non dovevo essere il meglio per aiutarla.
Restava solo da vedere quando il maltempo si sarebbe placato, in modo da permettere al battello di riportarci sulla terraferma, e da lì alle nostre vite di sempre, belle o brutte che fossero.
Rimanemmo nel pub per tutto il pomeriggio, ridendo e piangendo. Cercando in qualche modo di dare un senso a quello che ci era accaduto e al seguito che non riuscivamo ad immaginare. La padrona del pub non sembrava fare caso alla nostra presenza. Ogni tanto sporgeva la testa fuori dalla porta per controllare se eravamo ancora lì, ma non accennava ad alcuna mossa o parola nei nostri confronti.
Erano ormai le sei, ed ancora nessun avventore si era visto nel pub. L'isola pareva popolata di fantasmi. Ad un certo punto, mentre Nora mi spiegava come si poteva vivere in California, la padrona del pub uscì fuori dalla porta e con le braccia conserte, si sistemò dietro il bancone. Poi guardandoci con quegli occhi che tanto mi avevano impressionato, e appoggiando i gomiti tra i bicchieri di birra ci disse:
- Ragazzi il tempo cambia! Tra un po' finisce il brutto, da queste parti con le previsioni del tempo non si scherza. E' facile farle. Domani se volete partire è in programma un battello per la terraferma alle nove in punto. Vi prenoto? O volete passare un'altra giornata qui nel pub? A me non date fastidio, anzi, mi siete simpatici. Detto questo la donna esplose in un'altra fragorosa risata, come al mattino quando eravamo arrivati. Volgemmo lo sguardo verso la donna, e poi ci guardammo in faccia tra di noi. Gli occhi ci brillavano. Poi facendoci un gesto di assenso, e stringendoci forte le mani, rispondemmo: ok, domani è finita, si parte. Ci prenoti due posti.
Dopo aver confermato i posti uscimmo dal pub. Eravamo rimasti chiusi lì dentro per quasi tutta la giornata. Fuori in effetti l'aria era cambiata. Non ce ne eravamo accorti, ma il maltempo sembrava essere come scomparso. Come un ladro scoperto sul fatto, era fuggito lasciando dietro di sé poche tracce.
Il vento si era placato e la pioggia cadeva ora leggera come in primavera. Vagammo in silenzio per le case e per le stradine del villaggio. Dalle finestre notavamo le luci dei televisori che si rifrangevano sulle pozzanghere. I bagliori dei tubi catodici sembravano essere le uniche cose vive in quel momento sull'intera isola. Non un umano, non un'animale popolavano i dintorni.
Il sole di cui avevamo dimenticato l'esistenza, fatto salvo per la poca luce che con difficoltà, riusciva a penetrare la fitta coltre di nubi che ci sovrastava, iniziò in quel mentre a fare capolino sopra l'oceano. Un bagliore rossastro andò ad illuminare un tratto di mare antistante il piccolo molo sotto di noi. Ma il mare, ancora agitato e schiumoso, pareva non riflettere quello scampolo di luce del tramonto.
Ma nonostante questo tardivo e repentino cambio d'aspetto, quasi un pentimento, l'isola sembrava essere in quella fredda serata, ancora molto squallida. Clare Island era molto differente dalle altre isole Irlandesi, che anche in inverno danno l'impressione di essere meno riservate, più vive. Girammo ancora per una mezz'ora, e nel frattempo, come ci aveva annunciato la signora del pub, il maltempo aveva iniziato a cedere le armi. Il cielo si era quasi del tutto rasserenato, non pioveva più, e tra le nubi in fuga si iniziava a scorgere il tremore di qualche stella. Nora era sempre silenziosa, e mi abbracciava, stringendosi forte al mio petto.
Verso le otto decidemmo di rientrare al B&B, sperando di non incontrare la padrona, per non finire di rovinarci quelli che pensavamo essere gli ultimi momenti belli che potevamo passare insieme.
Entrammo e non trovammo nessuno. Il salone era vuoto, e non una voce o un rumore sembravano giungere dalle altre stanze. Nora prendendomi sottobraccio mi disse: vieni in camera mia, due camere mi sembrano troppe, oppure vogliamo rimanere un'altra notte sul divano giù in salotto?
Salimmo tutti e due in camera sua. Una volta dentro Nora chiuse a chiave la porta.
- E' finita. Domani sarà finita. Il destino ci toglie quello che ci ha dato.
- Non è così, sta a noi non farlo finire. Per me non è finita. Anche se non ci vedremo più, non potrò mai scordarmi di te, e di tutto il bello che il destino ha deciso di donarci.
- Palle, non dirmi altre oscenità, non mentire a te stesso, basta! Non aggiungere altro, ti prego!
A questo punto Nora scoppiò nuovamente in lacrime e sedendosi sulla sponda del letto iniziò a imprecare in tedesco. Non la capivo, ma dai gesti e dalla sua voce, capivo che era uno sfogo, un modo per scappare dall'ineluttabilità dei fatti.
Poi, cambiando improvvisamente atteggiamento, iniziò a togliersi gli abiti. Con furia, iniziò un qualcosa che voleva somigliare ad uno spogliarello, ma che risultava ridicolo, per la rabbia e i gesti goffi che metteva nel farlo.
Io ero lì, inebetito, a guardarla senza capire cosa volesse fare. Saltava come un'ossessa sul letto, e con violenza spargeva per la camera i suoi vestiti. In poco tempo fu completamente nuda. Mi si avvicinò e cominciò anche a togliermi di dosso i miei abiti. Fu allora che la fermai e le dissi: ma cosa vuoi fare, mi sembri impazzita!
- E' finito! E' finito tutto! Voglio fare l'amore con te. Ci vuole molto a capirlo. Non l'abbiamo ancora fatto. Non abbiamo molto tempo. Su, spogliati e datti da fare.
- Ma perché questa fretta?
- Dicevi che non mi si vedono le tette? Ed ora vedi anche tutto il resto. Dai, non perdiamo tempo!
Sembrava un'indemoniata, ma intanto piangeva. Ma l'osservarla in quello stato, senza vestiti ma in lacrime, non aveva nulla di eccitante.
Il suo corpo, così improvvisamente denudato, non poteva essere oggetto di brama. Era piuttosto una visione asettica, come il corpo di una statua. Troppo rigido, troppo goffo il suo denudarsi, per sembrare eccitante.
- Ti prego, prendimi. Fai quello che vuoi, dimmi cosa ti piace e ti accontento. Fa che ricordi questo che c'è stato fra di noi come una semplice avventura. Ti prego, facciamo l'amore e così distruggiamo il ricordo di quello che c'è stato fra di noi. Voglio ricordarmi di te solo come un'avventura...
A questo punto, vedendo che non reagivo e che mi tenevo distante da lei, Nora mi si parò davanti, e aprendo le gambe come per una visita ginecologica mi implorò: ti prego facciamo l'amore, sono qui, sono tua. Fai quello che ti piace. Ti prego fammi qualcosa, fammi dimenticare quello che ci siamo detti. Trattami come una qualunque! Fai come quei porci di registi di Hollywood, che vogliono solo questo. Avanti, fatti avanti! Facciamo rimanere tutto questo un'avventura...
A questo punto i singhiozzi le impedirono di parlare, e iniziò a picchiare con i pugni sul letto. Io assistevo allo spettacolo senza parlare. La visione di quella donna, di nuovo così improvvisamente trasformata, mi sorprendeva. Fino a poco prima mi aveva subissato di dolcezza. Era riuscita, con la sua sola presenza a fare breccia nel mio animo, ed invece ora me la vedevo lì, con le gambe all'aria, e con il volto in lacrime nel tentativo bislacco di sembrare oggetto di eccitazione. La visione aveva del patetico.
Rimase così per qualche minuto. Piangeva con grandi singhiozzi, ma ora non diceva più nulla. La sua nudità non aveva niente di lascivo. Anche a gambe aperte, in una posa più ginnica che erotica, da set di uno sgangherato film porno, Nora non aveva nulla di eccitante. Il suo corpo, che in altra occasione avrebbe potuto essere oggetto di bramosia, mi sembrava non nudo, ma vestito. La visione di un corpo nudo può essere eccitante, o patetica.
Lei era senza dubbio patetica.
Voleva scacciare il mio ricordo con una notte d'amore, di sesso per meglio dire. Dimenticare la mia faccia, sovrapporla a quella di chissà chi altro per seppellirla. Per non dovere ricordare, e magari soffrire. No, troppo facile Nora. Troppo facile cancellare un qualcosa che non era morto, anzi era appena nato. Per paura di legarsi, una botta e via. Quattro gridolini, un'intreccio di corpi ed eccoti liquidata. Un'altra tacca sul calcio del mio fucile, se mai ne ho avuto uno.
E no! Non ci sto. Come è possibile cancellare tutto quel che era accaduto? No, non ci sto!
Rimanemmo così per un bel po'. Io impietrito a guardarla, e lei a piangere con le gambe divaricate, in quella stupida postura che voleva mascherare il suo patetico tentativo di farmi credere che lei fosse un'altra. Poi si ricompose e avvicinandosi a me mi sussurrò una parola: perdono. Hai ragione, perdonami, non dovevo farlo. Sempre nuda, ma ricompostasi, mi abbracciò. A questo punto fu il mio turno di scoppiare in lacrime. Iniziai a piangerle in braccio come un bambino. Lei ancora nuda, io con i miei abiti mezzi sbottonati. Che buffi dovevamo essere.
Piangevamo per quello che era stato e non avrebbe mai potuto essere. Non volevamo separarci, ma lo avremmo comunque fatto. Avevamo appena scoperto che era bello stare insieme. Che era bello guardarci negli occhi, che era bello solo il sapere che l'altro ti pensava, e il destino faceva scattare l'orologio che ci portava lontani.
Eppure nonostante sapessimo che ci si poteva rincontrare un giorno o l'altro, eravamo certi che una volta rientrati nelle nostre vite, non ci saremmo più rincontrati. Era inutile pensare ad andare in America, o che lei mi venisse a trovarmi in Italia. Questo non perché non volessimo, tutt'altro, ma semplicemente perché eravamo realisti. La nostra partita l'avevamo giocata in campo neutro. Avevamo giocato tra noi una partita, ed avevamo vinto tutti e due. Nessun sconfitto. Ora non ci rimaneva che andare, andare per le nostre strade contenti o meno di avere afferrato al volo un momento di felicità.
- Rivestiti, la camera non è poi così calda.
- Va bene, ma ti chiedo una cosa: questa notte stai vicino a me, ti prego. Per l'ultima volta, come hai fatto la notte scorsa, lasciami quel sapore di dolcezza che può essere la tua presenza. Voglio le tue mosse, la tua timidezza, il tuo nervosismo, le tue paure. Voglio che tu mi lasci tutto di te stesso. I tuoi difetti sono te stesso! Perdonami ancora per prima, ma per paura di soffrirne, volevo tentare in qualche modo di dimenticare quella persona che mi è stata vicina, che tanto mi ha scombussolato la vita in così poco tempo.
Stammi vicino, fa che questa notte diventi lieve come il peso di una piuma. La piuma di un ricordo che deve essere bellissimo, un ricordo che mi accompagnerà forse per tutta la vita. Mi hai dimostrato che anche nella più squallida normalità, che nel più balordo dei posti la speranza di un qualcosa di bello non è fantasia. Accade...
Se ne hai voglia, facciamo pure l'amore. Ormai non dobbiamo dimostrarci più nulla... viviamo queste ultime ore nel migliore dei modi possibili. Siamo come due condannati, condannati dalla nostra maledetta razionalità alla pena di vivere nell'attesa...
- No, non mi va. Mi sembrerebbe come di rompere un incantesimo. Avessimo avuto più tempo sarebbe stato diverso, ma ora voglio provare a vivere queste ultime ore che mancano a quando ci separeremo con te. Dentro di te. Non voglio il tuo corpo: è già mio. Non hai bisogno di dimostrarmi nulla. Lo so, è un pezzetto della tua anima, quella che voglio. Vorrei che per sempre tu portassi traccia del mio esistere, come tu hai lasciato un poco di te nell'animo mio.
- Scriviamoci, almeno proviamo a sentirci per telefono, non spezziamo il filo che ci lega, non buttiamo via tutto.
- Se vuoi, ma ricordati che un vaso quando si rompe, non si aggiusta. I cocci incollati sono una cosa ben diversa dal vaso intero -
- Se pensi che sia così... ma invece ti propongo un patto: il primo dei due che crolla, prende il coraggio e si fa vivo, ovunque esso sia -
- OK, ci sto.
Così passammo la notte svegli. A parlare e guardarci in volto, nel tentativo di saziarci di noi. Nella speranza che la notte non si facesse mai mattino, facendo finta che non fosse l'ultima volta concessaci. Quando fu l'ora, in silenzio preparammo le nostre cose. Impacchettati i nostri zaini, pagammo il dovuto all'occhiuta donna che gestiva il B&amo;B, dimenticando dell'offerta che il marito ci aveva fatto.
Il viaggio, e l'addio non sono degni di nota. Tutti gli addii sono stupidi.

Lettore, è ormai il momento di dirci addio.
Ho qui di fronte un punto. Un punto che non tornerà più ad adornare la mia vita. Felice di aver rubato una parentesi di felicità, torno ai sollucheri e alle stupide malizie di provincia. Ma ora mi sento più forte.
Almeno io qualche volta ho vissuto. E tu?



Un racconto di Fabio Riccio
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