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Carraroe [racconto]

Ultimo Aggiornamento: 15/12/2006 21:21
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15/12/2006 21:21
 
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Una Sensazione di assenza corporea, di mancanza di peso e d'esistenza tangibile. In un luogo estraneo, lontano dal mio solito mutare dei giorni, lontano dall'ordinario. Questa è la mia prima sensazione una volta arrivato a Carraroe.
Ero stato già in quest'angolino d'Europa e ne ero stato molto colpito. La voglia di tornarci prima o poi mi era rimasta. Allora era stata una visita fortuita in compagnia di quella che al tempo era la mia compagna di viaggio e di vita.
Non so esprimermi, ma è come se tutto fosse in qualche modo già fissato in questo viaggio, o almeno disposto da tempo. Il proprio corpo ne ha la sensazione: il mio se n'è andato già da una settimana ed è forse già alla meta, oppure è ad attendermi in qualche luogo imprecisato nell'ovest dell'Irlanda. Il corpo parte per primo e presagendo la fatica che la distanza impone, si appresta docile all'impresa. La mente lo segue, ma con calma, meditatamente.
Eppure sono partito da Dublino da una settimana, dall'Italia da due, ma mi sembra un'eternità. Il tempo da queste parti è elastico, flessibile: normalmente rallenta, ma qualche volta improvvisamente accelera, proprio come ha fatto nel 1989 la storia, che dopo 45 anni di letargo, si è messa d'improvviso a correre.
La prima visita in questo villaggio battuto dal vento salmastro dell'oceano l'avevamo fatta con "l'autostop a caso", senza una meta definita.
Dopo varie peripezie, un tedesco ci carica e ci consiglia di andare a visitare Carraroe, luogo a suo dire di mille delizie e di musica celestiale.
E l'allora parroco del villaggio che viaggiava su una Fiat 127 sport turbo, molto più adatta ad un bulletto di periferia che a un sacerdote, ciò diede lo strappo finale quando ormai il sole era quasi tramontato.
Il dinamico sacerdote, anche lui un entusiasta della parrocchia assegnatagli, venne senza indugio battezzato "Padre Sprint" per il suo spericolato modo di guida .
Decido di ritentare di nuovo l'avventura in autostop, ma con una meta. Non per risparmiare ma per scambiare due parole con qualcuno. Nell'ovest d'Irlanda si può fare ancora autostop con buone speranze di essere caricati.
La mia sgargiante giacca termica verde, più adatta ad uno sciatore che ad un viaggiatore, mi fa sembrare un marziano piovuto li chissà dove, nel grigio panorama della periferia di Galway in questo piovoso Marzo.
Pochi minuti di attesa e una macchina si ferma. Il conducente è proprio uno di Carraroe che ritorna a casa.
Dal finestrino vedo scorrere un paesaggio che è un continuo susseguirsi di piccole insenature, laghetti e piccoli fiumi. E' pressoché impossibile distinguere dove inizia il mare.
Tutta la costa nord di Galway è disseminata di corsi d'acqua che impetuosi si fanno strada tra i prati appena spuntati, e gli immancabili muretti a secco, che delimitano i piccolissimi appezzamenti di terreno dove gli animali pascolano incuranti della pioggia sferzante.
Il mio autista si rivela come tanti suoi connazionali un gran chiacchierone, e nella mezzora del viaggio trova il tempo di raccontarmi tutta la sua vita o quasi.
E' un piccolo impresario edile, che si occupa in particolare della ricostruzione di tetti di ardesia, quelli che vanno per la maggiore in Irlanda.
In inglese quelli come lui si chiamano thatcher: come l'ex primo ministro Britannico.
Tra le altre cose il mio autista mi confessa di essere un "tee totaller" cioè un astemio. Sembra incredibile ma un buon 40% della popolazione Irlandese è astemia, vuoi per convinzione, vuoi per obbligo del medico.
Il mio autista si dichiara appartenente alla seconda categoria e senza vergogna si definisce un bevitore pentito. Buon per me che sono nella sua auto.
Arrivo a Carraroe sotto un diluvio e cerco il B & B dove ero stato durante la mia prima visita. Chiuso.
Il proprietario, un operaio metalmeccanico è in vacanza:
Isole Canarie, mi dice con un pizzico d'invidia il suo vicino di casa. Ripiego su un albergo che sette anni fa non esisteva. Come al solito sono l'unico ospite.
L'albergo è uno di quelli classici della provincia Irlandese, spuntati come funghi da quando l'Irlanda è entrata nei circuiti turistici popolari .
Operai Tedeschi, bancari Francesi, e agricoltori del mid-west americano popolano senza troppo clamore da Maggio a settembre questi luoghi che offrono un minimo di comfort e pulizia a prezzi abbordabili.
Quanto basta. Gli Italiani arrivano sempre più numerosi, ma solo di Agosto, tutti insieme, in branco.
Meglio i B&B con il loro rapporto più umano con il proprietario. Ma qui nel piovoso Marzo di Carraroe mi devo accontentare. L'albergo ha un pub annesso alla hall.

Ho l'impressione che la gente qui dentro nel pub sia diversa che dalle strade; c'è un clima, c'è un calore, c'è somiglianza con le nostre folle Italiane. Mi sento a mio agio.
Ora inizio a ritenermi meno distante dal mondo, non mi sento più come spezzato: l'anima ha infine raggiunto il corpo.
Il brusio della gente ha un che di differente però: parlano tutti in Gaelico. Qui sono nel cuore della piccola regione dove il Gaelico è ancora lingua di tutti i giorni.
Ma anche il Gaelico, come queste terre, è al confine del mondo. Un fossile che ostinatamente cerca di vivere, e qui, protetto anche dagli intelligenti sforzi del governo di Dublino, che aiuta anche finanziariamente chi si esprime in questa lingua, vive.
Una vita modesta, ma sempre una vita.
Fa sempre uno strano effetto sentire la gente esprimersi nella vita di tutti i giorni in una lingua ritenuta dai più "morta".
Si può anche amare, litigare, parlare di calcio, studiare la matematica in una lingua pressoché morta, che è realmente parlata per le esigenze di tutti i giorni da poco più di 8000 anime in tutta l'Irlanda.
Una lingua antica, ai confini del mondo.
Come antichi sono i ritmi di questa gente che parla questo idioma che all'ascoltatore occasionale da una strana impressione.
A volte gutturale e stridente, talvolta dolce e musicale.
Ma un televisore che biascica in Inglese una trita telecronaca di un match di pugilato mi ricorda che sono circondato da una marea di anglofoni.
Resisteranno all'onda anglicizzante che viene dal tubo catodico gli abitanti di Carraroe? Riusciranno ancora ad amarsi ed odiarsi, magari ad annoiarsi in Gaelico?

Aislin mi sorride, mi guarda.
E' seduta in un angolo della sala, in compagnia di quelle che forse sono sua sorella e la madre, vista la somiglianza. Non è la prima volta che qui in Irlanda una sconosciuta mi sorride, ma questo sorriso è solo un invito a parlare, ad avvicinarsi. Nulla di più. Non è un sorriso equivoco o provocante, è solo un invito per socializzare con un altro essere umano che hanno visto solo. Hanno capito che sono straniero. In Irlanda ancora succede. Aislin è una delle maestre del paese.
E' stata per cinque anni negli USA, ma non le è piaciuto il modo di vivere americano.
Ma visto il suo forte accento Bostoniano stento a crederlo.
E' molto carina, ha la fisionomia di alcune donne Irlandesi dell'ovest: filiforme, ma allo stesso tempo ben proporzionata. Viso regolare e molto intenso, occhi azzurro-grigi e capelli corvini su una pelle bianca come il latte e neanche una lentiggine.
Ha 28 anni, ma ne dimostra si e no 20.
Fuma nervosamente delle pestilenziali sigarette al mentolo. Mi dice: adesso in paese non si sta troppo male, anzi. Negli ultimi anni hanno aperto i battenti molte fabbriche, in maggioranza con capitale americano che danno lavoro ai giovani del paese.
L'economia sembra essersi messa in moto e il turismo sta facendo il resto. Il benessere incomincia a vedersi. L'I.D.A, una specie di cassa del mezzogiorno Irlandese, che però funziona, ha fatto i ponti d'oro per chiunque venisse ad investire qui nel desolato ovest gaelico. I risultati non si sono fatti attendere.
Una landa, che fino a dieci anni produceva solo emigrati, ha finalmente la possibilità di guardare al futuro serenamente.
Continua Aislin, in duemila anni di storia, questa è la prima volta che noi "figli" possiamo sperare in un futuro migliore di quello dei nostri padri, senza emigrazione.
La serata trascorre piacevole, Aislin è un'amabile conversatrice e inoltre mi fa conoscere altre persone.
Tra una pinta di Guiness e un hot whiskey, gli avventori fanno a gara per informarmi su tutto quello che succede nel paese e su come si vive li.
Aislin si offre per farmi da guida dei dintorni per il pomeriggio successivo. Accetto.
Carraroe può sembrare al visitatore il lavoro di un architetto in vena di originalità.
Il sito è in una stranissima posizione geografica.
Il paese si estende su una piccola penisola lunga tre chilometri e larga non più di uno e mezzo, protesa nel centro di una baia, e con al centro un lago .
Acqua da tutte le direzioni, verso l'interno come verso l'esterno. Il paesaggio è come in tutta la costa nord della contea di Galway: spoglio e selvaggio.
Pochissimi alberi piegati dal vento e tanti muretti a secco per delimitare gli appezzamenti di terreno, che visti dall'alto ricordano il lavoro di un ragno ubriaco, tanto che sono irregolari e fitti.
I piccoli appezzamenti di terreno sono quasi tutti dedicati all'allevamento del bestiame.
Pochi campi di frumento, orzo perlopiu e qualche campo di patate, coltivate con il tipico sistema locale "a letto sopra la terra ".
Ma ora le patate pare che sia più conveniente importarle da Cipro, chi ancora le coltiva lo fa solo per l'uso familiare, forse memore della grande carestia che colpì l'Irlanda nel secolo scorso.
Ho ancora davanti agli occhi i piccoli passi di una vecchia che si trascina per le strade del paese: Greta.
Avevo già conosciuto questa donna durante al mia prima visita. La matta del villaggio, l'avevano etichettata così, ma a ben vedere non del tutto matta. Originale, questo si, ma non matta. Continuando a fumare una sigaretta dopo l'altra scorrazzava con un carrozzino tutta la mattinata per le strade del paese, nella sua illusoria o forse reale felicità.
Greta sembra rivolgere lo sguardo al mondo con la stessa noncuranza di quello della tartaruga che porta a spasso sul suo passeggino. Mi avvicino, cerco di parlarle. Lei incredibilmente e con dovizia di particolari si ricorda di me, devo averla colpita.
Si esprime in un ottimo Inglese, forbito direi. Scambiamo due chiacchiere E' molto gentile, e nella sua (forse) studiata sciatteria non rinuncia ad un pizzico di eleganza.
Ha buone disponibilità economiche, e possiede una casetta che sembra il trionfo del souvenir a basso costo. Sul muro di cinta un'intera collezione di nani e ben sette Biancaneve, e dalla grande finestra che da sul soggiorno, si scorgono un'infinità di ninnoli e soprammobili. Mi invita ad entrare, ma gentilmente declino visto il tanfo proveniente da quelle mura.

Greta mi fa venire in mente quell'individuo dall'aria intellettuale, portamento fiero, il pizzetto da "artista", che raccontava storie inverosimili di donne e scrittori. Che poi incredibilmente si rivelavano vere. Pochi gli credevano, però.
Il Maestro, così noi amici lo chiamavamo.
Un bel giorno decise che aveva vissuto abbastanza e lo comunicò a quelli che pazienti ancora lo seguivano nelle sue inverosimili storie di principesse e matadores coraggiosi.
Si lasciò andare. Qualche mese dopo morì, consumato nel suo volontario delirio. Non era pazzo. Anche Greta non lo è.
Attraverso le strade del paese. Strade remote che non oso definire, che non so come confrontare con le nostre. Non ho idea di chi le abiti, e di come ci si viva.
Vorrei tanto bussare alla porta di una di queste case semplicemente per chiedere: ma come vivete li dentro?
Quali sono i vostri problemi del quotidiano, qui ai confini dell'Europa? Mi trattengo.
Gentili e disponibili come sono, gli Irlandesi forse mi farebbero entrare. Ma così sarebbe come forzare la loro privacy. Meglio aspettare un'altra occasione.
Non forziamoli.

Carraroe sembra fatta di pietra. La terra pure è pietra, l'acqua quasi. Così le vecchie case, minimi agglomerati di pietre messe l'una sull'altra con il tetto di paglia come a sottolineare la precarietà, in una regione dove tutto sembra precario, sospesa come è tra terra e acque.
Come i muretti che delimitano gli appezzamenti di terreno: pietre una sull'altra.
Per entrarci non bisogna fare altro che smontarne un pezzo e poi ricostruirlo alle proprie spalle.
Probabilmente qualcuno si accorgerà del mio vagabondare per i campi guardando semplicemente i varchi che ho maldestramente richiuso alle mie spalle.
Cammino lungo una stradina che non ho idea dove mi porti, dove vi è un profumo di erba bagnata che chissà perchè mi ricorda la mia infanzia, dove di erba bagnata non ne vedevo affatto, chiuso come ero in un grosso condominio, in una ancor più grossa colata di cemento chiamata città.
A destra del lago su di una spianata ecco la zona industriale. La speranza degli abitanti della zona per non emigrare.
Anche i nomi delle industrie sono in gaelico, e la sigla TEO prende il posto del più familiare INC o LTD anglosassone.
Con piacere noto che una gran parte delle industrie ha cercato di minimizzare il proprio impatto ambientale.
I colori sono tutti sul grigio o sul verde scuro, come a voler nascondersi tra le pietre e i campi.
Fuori nei parcheggi, tra le Mercedes e le BMW abbondano le targhe statunitensi e anche qualcuna Tedesca: sono loro gli investitori che sono sbarcati li trovando manodopera a buon mercato e poche tasse da pagare.
E' da un paio d'ore che vagabondo per strade e stradine e già non sento più l'odore, che prima mi sembrava forte e pungente, dell'oceano.
Ci si abitua a tutto.
Ed eccomi qui al piccolo molo posto sul capo della piccola penisola, con lo sguardo rapito dal maestoso spettacolo delle scogliere che s'alzano verso il nord. Non vi è anima viva, quando alzando lo sguardo verso il cielo vedo di colpo un branco di oche selvatiche, che spuntate dal mare placide e silenziose mi volano proprio sopra la testa, incuranti di tutto quello che le circonda.
Provo a contarle: saranno un centinaio o di più.
Una vista unica. Le oche sembrano sfidare le leggi della fisica volando a pancia in giù stendendo il loro corpo come un nuotatore nello spasimo di una gara. Non so se sono di passaggio durante una migrazione o se abbiano scelto Carraroe per viverci.
Resto immobile a guardare fin quando scompaiono dietro l'orlo di una collinetta.

Aislin si dimostra essere molto puntuale.
Alle quattro in punto è fuori l'albergo ad attendermi con una vecchia Toyota che deve aver visto tempi migliori.
Si scusa per la macchina, ma lo stato anche lì non paga bene gli insegnanti, così dice.
Andiamo a Costelloe, è molto "Irlandese", ti va?
Esordisce lei non appena svoltato l'angolo. Per me ogni meta è buona.
Il mio corpo, e questa volta anche l'anima sembrano avere una sete infinita di vedere, conoscere, scoprire. Ma di scoprire anche piccole cose, piccoli particolari, che mi aiutino in qualche modo a scoprire la vera essenza di quello che mi circonda.
Voglio vedere cosa c'è dietro il palcoscenico.
Non posso limitarmi ad assistere allo spettacolo, essere solo spettatore, ma non pretendo di essere un'attore: le parti che qui si recitano non sono le mie.
Guardo in viso Aislin, è veramente molto bella.
La sua non è una bellezza travolgente o ammaliatrice, è piuttosto una bellezza quieta che rilassa e rassicura.
Durante il breve viaggio parliamo molto, molto di noi e molto di questo remoto angolo d'Europa per il quale nutro una inconsueta attrazione.
Arriviamo a Costelloe e facciamo un giro a piedi per il paese e i dintorni.
Il villaggio si presenta un poco più dimesso e meno attraente rispetto a Carraroe, ma più ben conservato nella sua identità di villaggio Irlandese dell'ovest. Carraroe è più ricco, si vede.
Ma la ricchezza ha portato ad uno snaturamento della sua vecchia identità. Costelloe invece appare come cristallizzato nel tempo.
Con le molte case ancora dal tetto di paglia dall'aria polverosa che contrasta però con i colori sgargianti delle finestre, in cui non manca mai un vaso di fiori all'interno.
Il paesaggio dintorno è ancor più selvaggio di quello di Carraroe, e le pietre anche qui la fanno da padrone.
Penso a come potrebbe diventare la luna: mandateci un manipolo di colonizzatori irlandesi e qualche fiume, e in breve tempo questi ti trasformano la pietraia che è il nostro satellite in qualcosa che somiglia a Carraroe o a Costelloe. Con un suo fascino particolare certo, ma abitabile.
Lo riferisco ad Aislin, ci ride di gusto.

La folla di Costelloe.
Nel silenzio rotto solo dal sibilare dell'onnipresente vento, un asino, un mite ciuco Irlandese ci guarda: è l'unica presenza di un qualcosa vivente per quelle strade che sembrano quelle di una città fantasma.
Dopo un'ora che siamo in giro e quando il sole inizia a tramontare la solita pioggerellina pomeridiana ci costringe ad infilarci dentro un pub.
Ci accomodiamo e davanti a due pinte di Guiness iniziamo a parlare.
Costelloe è molto differente da Carraroe, qui ci sono pochi giovani e la maggioranza della popolazione vive di sussidi governativi, dice Aislin.
Qui sono pochi quelli che beneficiano della nuova ricchezza creata dalle industrie, ci sono meno soldi da spendere, continua Aislin.
Il pub si presenta con un'aria dimessa, i rivestimenti dei divanetti sembrano oramai allo stremo e le luci fioche creano un clima un poco spettrale; ma nonostante questo il posto ha un che di rassicurante, di familiare.
Non uno degli avventori sembra avere meno di cinquant'anni. In un angolo il solito televisore che trasmette una noiosissima partita di biliardo.
Tutti gli avventori sembrano come rapiti dallo spettacolo e non badano molto alla nostra presenza, o almeno così vogliono far credere.
Io, Aislin e il televisore siamo i soli che parlano in Inglese. Tutti parlano Gaelico. I più anziani commentano con frasi smozzicate i colpi migliori. Ascoltano in Inglese e commentano in Gaelico.
Restiamo nel pub per un paio d'ore buone e complice la Guiness, il pomeriggio trascorre in modo brioso.
Aislin continua a fumare le sue odiose sigarette al mentolo, dovrà avere i polmoni bucati. Ma alla fine mi abituo anche a quest'odore.
In Irlanda ci si abitua presto a tutti gli odori.
Mi meraviglia che nessuno degli avventori si sia avvicinato sentendo il mio accento straniero. Quasi sempre questo avviene.
Usciti fuori e rientrati in macchina Aislin mi fa notare anche lei che non uno degli avventori ci ha rivolto la parola . Me ne ero accorto.
I vecchi del pub mi conoscono bene, Carraroe è vicina.
Non ci hanno rivolto parola per due motivi: il primo è che pur essendo io un'insegnante di Gaelico parlavo con te in Inglese: imperdonabile.
Non ci fossi stata io sicuramente ti avrebbero parlato in Inglese, non esiste in tutta l'Irlanda un qualcuno che non lo parla.
Ma nel loro mondo un'insegnante di gaelico non è una insegnante come tutte le altre, è come un sacerdote: ha una missione da compiere. Quella di tenere viva la fiamma di questa lingua senza spegnerla, ad ogni costo. Il secondo motivo è perché ritengono che io sia una persona un poco particolare, da prendere con il beneficio d'inventario, da compatire forse. Ho ventinove anni, e non sono sposata. Ai loro occhi questo è qualcosa di inconcepibile; non contemplano nella loro mentalità che una bella ragazza possa decidere di vivere una delle stagioni della sua vita da sola, indipendente.
Forse hanno anche un poco ragione. Per gli standard locali ormai sono "stagionata". I giochi matrimoniali per quelle della mia generazione ormai sono fatti. In paese i maschi più "appetibili" sono ormai tutti accasati. Io vengo considerata una "variabile impazzita", non capiscono che voglio semplicemente vivere la mia vita come e con chi voglio io, e non semplicemente con quello che è il "meno peggio".
Non le rispondo.
E' un discorso che ho già affrontato troppe volte, nelle piccole città e nei paesi della provincia Italiana, specialmente al sud, e il risentirlo in Irlanda mi da ancora più fastidio. La guardo con gli occhi bassi come ad annuire, e non posso fare a meno di soffermarmi ad ammirare i lineamenti del suo viso.
E' veramente carina. Lei mi risponde con un sorriso.
Intanto si accende un'altra delle sue abominevoli sigarette al mentolo. Apro il finestrino per far girare l'aria.
La luce del mattino trapela dalle fitte tende della finestra nella mia camera d'albergo. In tutto il mio girovagare per i paesi anglosassoni non ho mai visto una tapparella o una serranda .
Mi sono chiesto il perchè, ma non ho mai avuto risposta.

L'aria è frizzante e il sole splende inondando di luce le colline che cominciano a cambiare colore. La primavera è in arrivo e il nuovo verde dei prati comincia lentamente a farsi avanti nel grigio e marrone dei campi bruciati dall'inverno.
Addio Carraroe, o forse arrivederci, non so.
Un autobus sgangherato mi riporta indietro ai miei giorni.
L'anima è già partita la sera prima, non so dove sia andata, ma in ogni caso è già a destino. Il corpo invece si adagia stanco su un sedile e attende.
Attende la prossima meta.


Un racconto di Fabio Riccio
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