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Galway, il calcio e qualche pensiero confuso

Ultimo Aggiornamento: 05/08/2006 14:16
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Ciao a tutti,
l'altro giorno - non so come - sono arrivato su questo sito che, se solo avesse incrociato la mia tastiera qualche anno prima, avrebbe senz’altro cambiato la mia esistenza per molti versi. Fidatevi. Il fatto è che la fissa celtica mi è passata da tempo e oggi guardo ai vostri messaggi solo in maniera frettolosa e un po’ distaccata. Me ne dispiaccio un po’, ma è così, non ho tentennato neanche l’estate scorsa quando dopo un esilio volontario di 8 anni sono tornato nell’Isola di Smeraldo. E che ritorno, sono finito addirittura sui giornali e alla radio! Nulla di speciale, intendiamoci, ma è stato bello essere di nuovo lì, un po’ come riabbracciare dopo anni un vecchio amico che non si è mai dimenticato di te. Se sono un irlandiano non lo so, ma penso di aver conosciuto abbondantemente ogni status della vita irlandese: mi sono ubriacato con il poteen in compagnia dei preti, sono stato al Bogside e all’ufficio del Sinn Fein, ho apprezzato le fanciulle irlandesi (carinissime, ma un tantino selvagge, no?), ho ammirato le croci celtiche dei cimiteri dell’Ovest, la tomba di Michael Collins, ho fatto lo stagista all’ICE di St. Stephen’s Green, ho inveito contro i buttafuori dei locali di mezza città (c’è ancora il tipo del Major Tom chiamato “punching-ball”), ho provato l’ebbrezza di vedere Irlanda-Italia 1-0 nella bolgia infernale (e avvinazzata) di un pub sperduto nella campagna di Cork… potrei andare avanti per ore, chi lo ha provato lo sa cosa vuol dire, ogni giorno è un’avventura quando si vive lontani e si è giovani. Vorrei però ricordare il “caso di Marco”: trattasi di un simpatico studente piemontese, allora impegnato come portiere a difesa dei pali di qualche squadra dilettantistica della sua regione. Tre o quattro anni fa mi contattò per internet e in qualche modo riuscii ad assicurargli un provino con la squadra del Galway United, allora appena retrocesso in First Division (la nostra serie B). Pur senza strafare, Marco si prese le sue belle soddisfazioni, giocando anche alcune partite con la squadra. Oggi, credo, vive ancora in Irlanda, credo a Cobh, credo in buona compagnia. Conobbi Marco attraverso le pagine web del sito che, un po’ per gioco, misi su nel 1997 dedicandolo proprio al Galway United. Si chiama Into the West e lo trovate all’indirizzo www.intothewest.info. Si tratta di pagine assai modeste (ahò, mica è pubblicità occulta) che tuttavia mi hanno permesso di rimanere in contatto con un mondo cui ero legatissimo, anche se in un modo del tutto nuovo ed imprevedibile, almeno per me che ho litigato da bambino con tutto ciò che è tecnologico. Nel luglio scorso incontrai giocatori, tecnici e tifosi della squadra in un divertente dopopartita passato, come di consueto, al pub (il mitico Kate’s!). Parlai a lungo con l’allenatore il quale mi ringraziò per l’affare Marco, chiedendomi di ripeter l’esperimento perché, a sentire lui, l’Irlanda sportiva è isolata geograficamente e culturalmente e gli apporti stranieri sono sempre ben visti (l’anno scorso un tipo francese, arrivato come barista in città, ha finito come capocannoniere e ora gioca in serie A). Se qualcuno si ritiene bravino da voler tentare la sorte come ha fatto Marco non ha che da scrivermi (oceano2005ibero.it), così come può contattarmi coloro che volessero conoscere qualche tifoso della squadra, magari per seguire la gara in compagnia.
Slan!
Sandro

p.s. ammettiamolo, il calcio in Irlanda fa piangere, un po ‘come la nostra birra al cospetto della loro. Eppure c’è chi - oltre a me - si è appassionato comunque al pallone degli irlandesi. Spero di fare cosa gradita riportando in basso un articolo che scrissi qualche mese fa per un portale sportivo sulla rete


L’arpa, la croce, il pallone (ovale)
Irlanda: viaggio nell’isola del calcio che non c’è

Sono tanti gli italiani d’Irlanda, li vedi passare abbronzati per le strade di Dublino tra gli eleganti caffè di Grafton e i neon aggressivi di O’Connel Street. La sera li puoi trovare al Temple Bar, inconfondibili anche quando si mischiano agli spagnoli fuori del Busker’s o al piano superiore dell’Oliver Gogarty Pub, luogo di culto del folk irlandese. Poi ci sono loro, gli italiani arrivati tanti anni fa per lavorare, quasi tutti giunti dall’entroterra frusinate come testimoniano inequivocabilmente i loro cognomi… Forte, Scappaticci, Cascarino (vi ricorda nulla?)… Una scelta difficile in una terra mai troppo generosa neanche con i propri figli, decimati da guerre, carestie e vicini poco amichevoli. Oggi lavorano in buona parte nei tanti fast food aperti a suo tempo dai loro padri e dai padri dei loro padri. Spesso, in un italiano assai incerto ed aprossimativo, parlano ai loro connazionali giunti numerosi da Ragusa a Bolzano per rincorrere l’aroma di una Guinness, il profilo di una Croce Celtica, o i tratti gentili della gente d’Irlanda. Qualunque sia il motivo per cui sono qui, gli italiani nell’isola di smeraldo non cercano né stadi, né magliette di calcio come farebbero sicuramente altrove (ricordate Verdone in viaggio di nozze?). Tra le tante affinità che accostano gli irlandesi alle nostre latitudini, dal temperamento alla spiritualità, dal passato sofferto allo straordinario patrimonio culturale, non troviamo infatti il pallone, non quello rotondo di cuoio almeno. Loro, i Latini del Nord, preferiscono di gran lunga gli sport della tradizione gaelica, dal football della GAA all’hurling (camogie nella versione al femminile, si fa per dire), un retaggio culturale che affonda le proprie radici nel sofferto anelito di indipendenza raggiunta solo dopo secoli di dominazione britannica. Al limite, dovendo necessariamente cedere ad un’imposizione degli odiati inglesi, gli irlandesi hanno scelto la palla ovale, riuscendo a sviluppare un movimento rugbystico di tutto rispetto attraverso l’attività giovanile nei college e regalando non poche gioie ai tanti appassionati che seguono la Nazionale allo stadio di Lansdowne Road. Quest’ultimo viene prestato sistematicamente alla nazionale di calcio che non possiede un proprio impianto, mentre gli adepti del Football gaelico possiedono un vero tempio, Croke Park, il cui profilo possente e magnifico si staglia negli affollati quartieri di Drumcondra nella zona nord di Dublino, non lontano da Tolka Park, lo stadio dello Shelbourne, sbilenco ed irregolare come buona parte degli stadi di calcio in Irlanda. Al contrario il calcio ha sempre faticato ad imporsi e ancora oggi non se la passa granché bene, con stadi semivuoti e giocatori assai modesti, gestiti da una federazione di veri dilettanti che, in un certo senso, aumenta le affinità con il nostro Paese. Colpa anche della vicina Premier League, i cui club paradossalmente godono di ampio sostegno tra gli sportivi irlandesi, almeno fino a quando gli scozzesi del Celtic di Glasgow – il club formato nel 1888 dagli irlandesi in fuga dalla carestia - non verranno ammessi ai più avvincenti campionati inglesi. Bruciate tutto ciò che è inglese, tranne il carbone tuonava il presidente De Valera. Altri tempi, Altri eroi. In ogni modo, il calcio moderno arrivò in Irlanda già nel lontano 1878 per merito di un uomo d’affari di Belfast, John McAlery, affscinato dal nuovo sport osservato durante un soggiorno nella vicina Scozia. L’Irish Football Association fu creata nel 1880, un anno dopo la nascita della prima squadra irlandese, il Cliftonville Fc di Belfast, oggi impegnata nei campionati dell’Irlanda del Nord (anche se non ufficialmente, è la squadra della comunità cattolica, come – in misura minore - il Glentoran, mentre il Linfield è sostenuto dai più numerosi protestanti) dopo la separazione delle sei contee (erroneamente l’Irlanda del Nord viene spesso indicata con il termine Ulster che indica, al contrario, una delle quattro storiche regioni dell’isola e comprende anche altre tre contee, Donegal, Cavan e Monaghan appartenenti all’Eire.). Con la nascita dello stato libero d’Irlanda nel 1921 (Eire è il corrispondente gaelico) divenne inevitabile creare un nuovo organismo amministrativo e a Dublino nacque in questo modo la Football Association of Ireland. Tra gli otto club fondatori vanno senz’altro ricordati il Bohemians - l’unico sempre presente nella massima divisione – ed il St. James’ Gate, la squadra delle celebri birrerie Guinness il cui cancello d’ingresso dà appunto il nome alla squadra, ritiratasi pochi anni fa dai campionati maggiori. Lo Shamrock Rovers, la squadra di maggior successo del calcio irlandese iniziò invece dalla Leinster League e subentrò subito dopo cominciando immediatamente a mietere successi (quindici in campionato e ventiquattro in coppa, in verità tutti un po’ datati). Il campionato fu ben presto appannaggio dei maggiori club di Dublino fino a quando nel 1932 il Dundalk portò finalmente il titolo in provincia, nella contea di Louth al confine con il Nord. Durante il secondo conflitto mondiale il campionato non venne sospeso e nel 1969 fu allargato a quattordici squadre ammettendo anche il Finn Harps che così allargò i confini del calcio nazionale fino al Donegal. Nel 1985 venne introdotta anche la seconda divisione (oggi chiamata sciaguratamente First Division, come in Inghilterra e Scozia) cui si iscrisse anche il Derry City, la squadra dell’omonima città cattolica dell’Irlanda del Nord, che preferì evitare le tensioni ed i pericoli legati alla tristemente nota situazione politica, i Troubles, come vengono eufemisticamente chiamati nell’isola. Proprio il Derry City è stato l’ultimo club a strappare il titolo alle forti squadre dublinesi che possono annoverare anche il vecchio Shelbourne ed il St. Patrick’s, entrambe formazioni di successo negli ultimi anni. La massiccia ed ingombrante presenza delle squadre della capitale (che includono anche l’UCD, il club degli studenti univeristari, e fino a poco fa il St. Francis, oltre ad altri club della zone limitrofe) del resto è da sempre uno dei motivi di scarso interesse del campionato che a tratti sembra assumere più i tratti di un torneo cittadino. Oggi le presenze negli stadi irlandesi sono assai contenute, ma fino agli anni Sessanta si registravano regolarmente medie oltre i venticinquemila spettatori. Se in ambito internazionale le squadre di club faticano a trovare una marcia regolare, pur riuscendo saltuariamente a conseguire risultati positivi, la nazionale è riuscita indubbiamente a ritagliarsi a cavallo degli anni Novanta uno spazio dignitoso nel firmamento del calcio mondiale, sfruttando il periodo d’oro della guida di Jackie Charlton, l’inglese più amato – o meno odiato – d’Irlanda. Insomma il calcio d’Irlanda sembra destinato a brevi apparizioni e ad episodiche fiammate, per poi sparire frettolosamente e soffermarsi in una mediocre apatia, facendo addirittura dubitare della sua esistenza. Se c’è, il pallone d’irlanda è nascosto davvero bene e ha poca voglia di rivelarsi al mondo. Come i folletti. Come i trifogli.
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