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30 gennaio 1972: the bloody sunday

Ultimo Aggiornamento: 03/02/2007 13:19
20/10/2003 10:56
 
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LONDRA - All'inizio del 1972 l'esercito britannico aveva perso il controllo di Londonderry, la città dell'Irlanda del Nord affacciata sull'Atlantico, dove i cattolici avevano creato una «libera» Derry, come si chiamava prima che le sue terre divenissero proprietà, nel diciassettesimo secolo, della City di Londra. Ogni pomeriggio bande di ragazzi si riunivano all'«aggro corner», l'angolo degli arrabbiati all'ingresso del quartiere di Bogside, e lanciavano alle pattuglie britanniche tutto ciò che poteva far male: pietre, sbarre di ferro, bottiglie molotov, bombe con i chiodi. I teppisti, com' erano chiamati dagli inglesi, si rifugiavano dietro le barricate alzate dall 'Ira, l'esercito repubblicano clandestino, anzi dall'ala più dura, i Provos,> che pretendevano l'unificazione delle contee dell'Ulster alla Repubblica d' Irlanda. Vicecomandante dell'Ira, a Bogside, era un apprendista macellaio di 21 anni, Martin McGuinness, responsabile della disciplina (spesso mantenuta con una revolverata alle gambe, sbrigativamente), che è oggi ministro dell' Educazione, per conto del Sinn Fein, nel governo della provincia, a Belfast: a Derry, racconta, l'Ira aveva pochi volontari, «ma migliaia di persone erano con noi». A Londra, però, il primo ministro Ted Heath era deciso a riportare a Londonderry «la legge di sua Maestà»: l'ordine alle truppe era quello di sgomberare l'«aggro corner», catturare i più agitati tra i teppisti e internarli senza processo, come si faceva da qualche mese.
Opera delicata, se è un'intera popolazione che ribolle. Invece Londra mandò una compagnia del Reggimento paracadutisti che non erano mai stati impiegati per l'ordine pubblico, armati d'un fucile ad alta velocità, calibro 7,62, che sparava pallottole capaci di bucare una lastra di ferro. La data scelta, inspiegabilmente, fu quella del 30 gennaio 1972, una domenica, quando invece dei soliti teppisti c'era da aspettarsi una gran folla, perché era stata convocata una marcia per i diritti civili. McGuinness, che era andato a dormire all'alba dopo una notte di ronda, era d'accordo con il suo comandante: «L'Ira non doveva affrontare con le armi i soldati» e portò l' ordine in ogni angolo, tanto che lo sapevano pure i britannici. Eppure il generale-maggiore Robert Ford ammette oggi che, contrariamente alle regole d 'ingaggio precedenti, aveva dato disposizione perché i soldati «sparassero a isolati capibanda». Così quella «bella giornata», in cui «l'umore della manifestazione era allegro», covava una giornata di sangue che avrebbe segnato il nostro tempo. Perché la domenica di trent'anni fa sia diventata il «Bloody Sunday», che nutrirà di odio un'intera stagione storica, resta tutt'oggi un mistero. Chi sparò per primo? La commissione Widgery, subito varata da Londra, disse che i colpi erano venuti dalla folla. Non era vero e quel verdetto fu
ritrattato. Allora si disse che dall'«aggro corner» erano state lanciate bombe coi chiodi, ma pure questa tesi fu subito smentita. Impazienti, intanto, i parà avevano già sparato tre caricatori, ferendo un ragazzo di 15 anni e un uomo di 59. Poi scattò l'operazione degli arresti: McGuinness, che s'era ritirato dalle prime linee per timore d'essere preso e internato («non avevo avuto la sensazione che stesse per accadere qualcosa di terribilmente grave»), sentì gli spari e vide «gente che scappava dappertutto». Fu una carneficina: Paddy Doherty, colpito ai glutei mentre fuggiva, fu soccorso da Barney McGuigan, un pittore disoccupato di 41 anni, che sventolava un fazzoletto bianco: anche lui fu ferito alla schiena, a morte. Cinque dei tredici cattolici uccisi erano stati colpiti alle spalle e in dieci minuti di fuoco altri quattordici innocenti, disarmati come Peggy Deery, una vedova di 38 anni, con 14 figli, colpita alla coscia mentre guardava i paracadutisti che espugnavano Bogside, rimasero feriti a terra, sanguinanti, senza un perché. Politicamente, il Bloody Sunday fece da catalizzatore al peggio che si preparava. A Londra, provocò lo scioglimento dell'assemblea di Belfast e il governo diretto da parte di Westminster, a Dublino l'incendio dell' ambasciata britannica, in Irlanda del Nord un'ondata di adesioni all'Ira, perché all'occupazione delle truppe britanniche i giovani cattolici si sentirono chiamati a rispondere col terrore. Nacque così la lunga guerra civile, che superò «l'accettabile livello di violenza» che un ipocrita ministro tollerava: in Irlanda del Nord innescò l'esplosiva mescolanza di vittimismo e orrore che segnerà anche i protestanti. L'umiliazione del Bloody Sunday autorizzerà i terroristi cattolici (repubblicani) a versare sangue britannico, mentre i lealisti (unionisti) invocheranno le proprie vittime, come quelle dell'attentato di Enniskillen, per infliggere mostruosità. Un fanatismo che porterà allo sciopero della fame, suicida, di Bobby Sands. E nel resto d'Europa, dove la rudimentale lotta di classe dell' Ira faceva presa sul terreno del Sessantotto, la violenza dei cattolici trovò indulgenza: non era simile al terrorismo basco che combatteva l'odiosa dittatura franchista al crepuscolo? Ora tutto ciò è storia, dal 1972 è passata una generazione: fa nostalgia il ritornello degli U2, «Sunday Bloody Sunday», e le parole scritte a caldo da John Lennon, «Il grido di tredici martiri riempì l'aria della Libera Derry», sono ormai impolverate. Eppure per il trentennale escono nuovi libri, se ne ristampano di vecchi, si producono film e inchieste tv, si riaprono piaghe che parevano cicatrizzate. La situazione è paradossale: dall'accordo del Venerdì Santo, firmato nell' aprile 1998 da unionisti protestanti e repubblicani cattolici sotto l'occhio di Londra e Dublino, in Irlanda del Nord c'è la pace: i «troubles», come sono chiamati, sono ufficialmente finiti. Ma il più grave fatto di sangue del trentennio, la strage di Omagh in cui 29 civili furono massacrati da una bomba posta dai nuovi duri dell'Ira (c'è sempre chi non accetta compromessi e perciò ammazza), è avvenuto a pace già firmata, nell'agosto 1998. E se la gente chiede d'istituire, sull'esempio di quanto si fece in Sud Africa alla fine dell'apartheid, una «commissione verità» dove le confessioni valgano come espiazione, fa perfino fatica ad andare avanti l'inchiesta di Lord Saville sul Bloody Sunday: alcuni, come l'ufficiale Robert Ford, hanno> ammesso il loro ruolo (e dal memoriale di Martin McGuinness abbiamo tratto citazioni), ma ancora i paras tacciono, e se parleranno si nasconderanno dietro l'anonimato.> Perciò, come scrive Marc Muholland in un libro appena pubblicato, «The Longest War», il processo di pace sembra la prosecuzione della guerra con altri mezzi. Se è così, chi sta vincendo? In apparenza l'Ira, deponendo le armi prima di ottenere l'unificazione dell'Ulster alla Repubblica d'Irlanda (e perfino distruggendo, simbolicamente, un arsenale), ammette la propria sconfitta. Ma il Sinn Fein, suo volto pubblico, non è mai stato così forte: è diventato il primo partito dei cattolici in Irlanda del Nord, ha rappresentanti al Parlamento di Dublino e proprio pochi giorni fa i suoi capi, Gerry Adams e Martin McGuinness, sono entrati a Westminster, dove potrebbero sedere come deputati: gli irriducibili di trent'anni fa sono onnipresenti nelle isole britanniche. I protestanti, invece, sono disorientati: abituati a intendere la politica come antiguerriglia, non si sanno adattare al confronto pacifico. Il rancore emerso nel quartiere di Ardoyne, a Belfast, dove gli unionisti insultano le bambine cattoliche che vanno alla scuola Holy Cross, ne è la prova. E per contrappasso le truppe britanniche, che trent'anni fa spararono al Bloody Sunday, oggi proteggono le scolarette dalle bionde treccine, perché non piangano.

dal Corriere della Sera, 30 Gennaio 2002
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