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Irlandiani che lavorano per Google

Ultimo Aggiornamento: 08/08/2012 14:11
05/12/2005 22:24
 
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articolo di repubblica
certo che se l'articolista avesse parlato con qualcuno dei nostri a Dublino...



Che bella vita
sul pianeta Google
Dipendenti coccolati
e felici. Eppure...


SE NON è il paradiso lavorativo, poco ci manca. A Google, per decisione dell'azienda, si mangia bene e in ambienti spaziosi, tenendo conto di ogni esigenza - religiosa o personale - di dieta. Si discute e si ha la parola sui progetti che contano, ma se hai tutti i pedalini sporchi ti risolvono anche questo problema. E al venerdì si va tutti in assemblea, con la settimana che muore in souplesse fra voti per alzata di mano e caffè caldo in alti bicchieri di plastica. Il racconto non è privo di qualche ombra, ma il presente è trionfale, una favola che forse teme il finale del diventare adulti (la fine di ogni favola), ma che per il momento suona il suo spartito sulle note della felicità assoluta. E non potrebbe essere altrimenti, visto che a scriverla sono Eric Schmidt, amministratore delegato della società e Harl Varian, consulente di Google e autore di "Information Rules", una bibbia quando si parla di economia dell'informazione.

L'intervento appare sul numero di Newsweek attualmente in linea e, come è ovvio, è tutto sulla "Vita sul pianeta Google". La favola comincia dal colloquio d'assunzione. Colloquio? Macché, una commissione, un gruppo di persone, comprese quelle con le quali lavorerai, che l'una dopo l'altra si intrattengono con te in conversazione. Il curriculum che avrai mandato è solo un punto di partenza. Poi i discorsi varieranno dalla competenza tecnica allo sport, per passare dal modo di intendere la vita e il mondo di domani. E sì perché una cosa è chiara da questo articolo: Google è una filosofia di vita.

Non che sia la prima cultura tecnologica a volersi fare ideologia (basti pensare al "mondo apple") ma questi di Google fanno proprio sul serio. Arrivano fino alla lavanderia. "La maggior parte dei nostri impiegati sono programmatori e loro vogliono programmare, non fare il bucato". E quindi la società si occupa di mettere a disposizione un servizio apposito. Così come - ma qui siamo più vicini a quanto accade nel resto del mondo - si preoccupa di fornire un trasporto collettivo per coprire le talvolta pazzesche distanze californiane fra casa e lavoro.

Bisogna sapere che in molte aziende tradizionali, sparse in ogni parte del mondo, l'assegnazione dell'ufficio, cioè della stanza di lavoro singola e il suo arredamento, sono segni, uno dei rituali del potere più consolidati. A chi scrive è capitato, in Italia, di sentirsi dire: "Mi raccomando, lo tratti bene, lo vede? Ha la pianta in ufficio". Nel senso di un cactus che cresceva in un angolo, innaffiato ogni mattina dalla segretaria del Semidio. Non era consentito a tutti, averla era un segno di grande distinzione. Ecco, a Google neanche le stanze singole ci sono. Perfino l'amministratore delegato ha condiviso per un periodo lo spazio di lavoro con altre persone. "La prossimità aiuta il coordinarsi sul lavoro e il lavoro di gruppo". Comunisti? Al momento guadagnano in un anno come un quinto di Unione Sovietica di una volta.

Il metodo si estende al modo di prendere le decisioni. "Il consenso richiede più tempo, ma è il modo migliore di dirigere un'azienda". Si discute in modo concreto e legato ad argomenti. Sul progetto singolo, ma anche per migliorare la vita che si fa in comune. Il sistema di posta di Gmail ha avuto tutta la sua fase di sperimentazione come servizio di scambio interno di messaggi. Ed esiste un bidone dei suggerimenti: che si tratti del parcheggio dove serve una luce la sera o di una nuova idea che faccia aumentare il titolo in borsa: ognuno manda la sua mail al bidone, e ci sono persone che come lavoro fanno quello di leggere e smistare le proposte alle persone responsabili.

Sapere ciò che pensano i tuoi impiegati, e fargli sapere - con una certa misura, immaginiamo - cosa bolle nella pentola dell'azienda. Molti manager, diciamo il 99 per cento, riderebbero di gusto a sentire questa affermazione. In gran parte delle aziende del mondo non si parla del proprio lavoro, nemmeno davanti alla macchina del caffè. Proibito o perlomeno non gradito dai vertici, che temono la fuga di notizie. A Google dicono che in questo modo le fughe di notizie da loro sono ridotte quasi a zero e che la fedeltà degli impiegati è aumentata.

Qui rischiano proprio di aver ragione. Perché la più democratica e "buona" delle aziende del mondo - uno dei comandamenti interni resta "don't be evil", "non essere malvagio", ma anche "non fare del male" - resta la più opaca se vista dall'esterno. Nessuno sa nulla della sua tecnologia, e delle sue finanze si sa giusto quello che viene detto in occasione delle comunicazioni ufficiali e dovute per legge.

E le ombre? Schmidt e Varian ne elencano molte e una è molto concreta: la "tecno-arroganza", l'idea che la cultura interna sia migliore di ogni altra, che rischia di far velo alla concretezza e al senso di eguaglianza col resto del mondo. E poi il rischio di diventare come tutti gli altri, la "maturazione". I due illustri autori non lo dicono, ma forse pensano al fatto che anche Google in Cina ha piegato la testa di fronte alla censura della autorità.

(5 dicembre 2005)
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