Stellar Blade Un'esclusiva PS5 che sta facendo discutere per l'eccessiva bellezza della protagonista. Vieni a parlarne su Award & Oscar!
Il forum di Altra Irlanda
Benvenuti sullo spazio web frequentato da Italiani che amano l'Irlanda e dai connazionali che vivono sull'Isola ! Oltre 120 mila messaggi, suddivisi in diverse aree tematiche, per conoscere meglio l'Irlanda e coloro che la abitano. Se siete alla ricerca di informazioni sul "Vivere e Lavorare in Irlanda" vi consigliamo vivamente di iniziare dalla lettura dei testi contenuti nell'apposita sezione del forum o di consultare il sito www.altrairlanda.it, dove abbiamo sintetizzato i consigli dei nostri forumisti Irlandiani
Nuova Discussione
Rispondi
 
Vota | Stampa | Notifica email    
Autore

Storie d'amore tra italiani e irlandesi

Ultimo Aggiornamento: 30/04/2007 00:22
Email Scheda Utente
Post: 231
Registrato il: 11/03/2004
Sesso: Femminile
OFFLINE
26/04/2006 04:04
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

Parte seconda (continua)
Ero ancora una sconosciuta, per lei, e potè aprirsi senza troppo timore.

Parlammo dei nostri amori passati, di amanti più o meno nascosti e della noia di ciò che non ti appartiene, di vecchie ossa rotte e strumenti musicali. Le parlai, suppongo, del luogo da cui vengo, perché non passa giorno che io non lo descriva. Emilia, Emilia bella, Emilia in fiore, Emilia paranoica. Le parlai di me, ed il mio inglese usciva improvvisamente fluente, tanto che osservò che non aveva la lentezza che è in genere degli stranieri, e rise di gusto ad un “holy shit” che mi uscì di impulso e suonava tanto Irish – a suo dire.

Il suo modo di raccontare le cose mi incantò per la sua peculiarità. Mi divertì la paradossalità dell’elenco delle sue sfighe e nonostante fossi mossa quasi sempre al riso dal suo modo di raccontarle, al tempo stesso, inspiegabilmente, mi diede un grandissimo senso di dignità di fronte alla sventura, che mi sopraffece ed ammirai e rispettai d’istinto. Fu, credo, per il suo limitarsi ai fatti, senza mai descrivere i sentimenti provati se non attraverso le azioni che li esprimevano, come in una sceneggiatura in cui il dolore non si evince che dalle lacrime o dalle pause.
Manteneva un tono neutrale, fattuale, sebbene ritmato e condito da larghi gesti esagerati che differivano dalla gestualità italiana solo perché non codificati, non perché usati con parsimonia.
Pochissime parole per descrivere pochissime sfumature di emozioni: odio, amore, paura, noia, attrazione, repulsione.
Colori emotivi primari. Mi chiesi se fosse pudore dei sentimenti od incapacità di dare un nome a sfumature da cui cercava disperatamente di fuggire.

Ci fu una sola cosa che mi colpì più di questo. La sua innocenza. Nonostante le numerose esperienze di cui mi raccontava, a occhio più numerose delle mie che pure sono maggiore di età. Nello stile che diventa sostanza, la sua innocenza mi si rivelò così inaspettata da disarmarmi.

Parlai anch’io, naturalmente. Naturalmente. Chi mi conosce sa quanto ami parlare e quanto mi venga naturale. Fin troppo, immagino, per la pace mentale di chi ama il silenzio.
Chi mi conosce meglio sa quanto ami ascoltare.

Ci parlammo come si parlano gli sconosciuti, senza paure, con interesse infinito, ed il tempo finalmente fermo mentre srotolavamo le nostre vite sotto gli occhi l’una dell’altra.
C’è un’estraneità che non è con la frequentazione che si assottiglia, ma con il donarsi, con l’aprirsi, con il rischiare almeno un po’ di sé.
È a questa estraneità a cui sempre più mi sento costretta dalla sua chiusura. Ma non allora.

Uscimmo mentre la notte si inoltrava, per un boccone nel fast food alternativo di fronte, prima di prendere uno dei radi autobus notturni che l’avrebbe riportata a casa. A me bastavano pochi passi nel northside per ritrovarmi nella mia stanza. Fredda.
“Good morning” ci salutò un omone sputacchiante che ci sovrastava appollaiato seduto di fronte, mentre lei attaccava il kebab di buona lena ed io mi facevo un dovere dell’aiutarla, come l’abitudine allo scrocco mi portava naturalmente e la vergogna non mi impedì nemmeno allora. “Not morning in my book” bofonchiai prima di comprendere che per i locals “mattino” è tutto ciò che si situa al di là della mezzanotte. Ovviamente non ci liberammo dalla giovialità eloquente e dalla invadente gentilezza del tizio se non a pasto finito, con buona pace dei discorsi interrotti. Tempo dei saluti.

Fu all’angolo con Dame Street che provò a salutarmi. “Ti accompagno” le dissi.
“Ma abiti dalla parte opposta! Ehi, grazie, ma non ne ho mica bisogno. Non ti preoccupare. Grazie ancora!” Un sorriso stanco ma luminoso.
Alzai scettica il soppracciglio sulle sue stampelle e dichiarai che non si può lasciare un’amica zoppicare tutta sola verso la fermata dell’autobus. Di sabato poi. Lei si arrese, ed io le studiai timorosa il volto per scorgere una reazione alla nuova parola che avevo usato. Amica. L’avevo chiamata amica. A friend. Era troppo? Mi considerava un’amica o nulla più che una conoscente? Non mostrò alcuna reazione.
Non tutti danno lo stesso mio peso alle parole, e se lo fanno sanno nasconderlo bene.

Girammo l’angolo e la corrente spessa di Dame Street ci risucchio nella sardana di un sabato notte qualunque.
Avevano aperto le gabbie. Marciapiedi ingombri di persone barcollanti sotto il peso di ogni gradazione alcolica dello spettro, difficile trovare spazio per il passo successivo, impossibile trovarlo per una stampella. Ora, ci vogliono non più di cinque, dieci minuti per percorrere Dame Street e raggiungere il lato del Trinity, capolinea degli autobus notturni. Quella notte, in scioltezza, divennero quaranta.

Scoprii ben presto che l’unico modo ragionevole di procedere in quella sarabanda schiamazzante era di precederla, fendendo la folla per lei. Che però su di lei si richiudeva, ed ogni baldo giovine, pieno abbastanza d’alcol e ormoni da non riuscire a reggersi in piedi ma a cui scappava di mostrare la propria virilità cavalleresca, ci fu addosso, con la folle intenzione di caricarsi sulle braccia la fanciulla indifesa del caso. Un disastro. Io li avrei volentieri ammazzati a stampellate, ma pareva brutto restituirle tutte piegate.
L’unico risultato fu che riuscirono a pestarle il piede sano, e un omone grande e grosso e ciarliero provò seriamente a caricarsela in braccio, mentre lei rifiutava gentilmente. Un po’ troppo gentilmente, visto il caso. Riuscii ad afferrarla appena prima che il tizio perdesse l’equilibrio e crollasse a terra in un groviglio indefinito di braccia e gambe. Mentre gli amici cercavano di districarlo arrivò una tizietta svestita e decisa che lo scavalcò proprio, diretta al bordo della strada. Lì si piantò a gambe larghe, e con fare imperioso comandò a braccio teso ad un taxi di fermarsi. Peccato che appena prima del taxi, in fratino fosforescente appena visibile, sopraggiungeva un ciclista, che per lo spavento del trovarsela davanti scartò di lato. Un coro di clacson da entrambe le corsie accolse la mossa, e nello stridore dei freni ne approfittai per farle: “Ora! Andiamo!”
Fuggimmo zoppicando leste. Non seppi mai cosa successe al povero ciclista.

“Accidenti a loro” commentai.
“Beh dai. Le loro intenzioni erano buone. No?” Mi corresse lei. “L’hanno fatto per aiutarmi.”
“Aiutarti?! Quelli ci stavano solo provando, non vedi? Una ragazza carina bisognosa d’aiuto che stampella per strada, figurati se non ne approfittano!”
O lei è troppo ingenua o io sono troppo italiana, pensai. Stavo facendo una scenata di gelosia?
“Grazie per il carina”, disse solo.
Mi prese alla sprovvista. Arrossii, balbettai, e, peggio di tutto questo, feci finta di nulla.
È per questi peccati di ignavia che pagheremo il giorno del giudizio.

Riuscimmo infine a farci strada fino al lato del Trinity da cui salpano gli autobus notturni, fra bestemmie (mie) e sudore (suo), abbondanti.
Campeggiava lì in bella vista un furgoncino, assediato dalla folla delle grandi occasioni. Cercai di capire cosa vendevano. Patatine? Gelati, hot dogs, ultimi biglietti di un concerto? No, solo i biglietti da quattr’euro quattro dei NiteLink. La folla era in ordinata fila all’italiana, ad imbuto e spinta. Si voltò a guardarmi. Feci l’ultimo bel gesto della serata e le conquistai un biglietto. E per fortuna che non aveva bisogno che l’accompagnassi.

Salì finalmente sull’autobus, mi abbracciò stretta e mi salutò. Rimasi ad osservarla un secondo mentre si avviava verso il fondo, e mi incamminai anch’io verso casa, dalla parte opposta, il cuore ancora caldo di lei.
Sotto le coperte, mentre tentavo inutilmente di scaldarmi, mi arrivò un suo messaggio dolce in cui mi ringraziava per esserle rimasta accanto.


Quella notte, sotto gli occhi sbigottiti degli ultimi passeggeri, il Nitelink numero 7 si lanciò improvviso in una folle deviazione decisa dal buon cuore dell’autista, che volle portare una ragazza in stampelle fin sotto casa anziché abbandonarla al capolinea.

(fine seconda parte)
__________________________________________________

Tra il dire e il fare c'è di mezzo molto più che un maiale
Nuova Discussione
Rispondi

Feed | Forum | Bacheca | Album | Utenti | Cerca | Login | Registrati | Amministra
Crea forum gratis, gestisci la tua comunità! Iscriviti a FreeForumZone
FreeForumZone [v.6.1] - Leggendo la pagina si accettano regolamento e privacy
Tutti gli orari sono GMT+01:00. Adesso sono le 10:35. Versione: Stampabile | Mobile
Copyright © 2000-2024 FFZ srl - www.freeforumzone.com